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Uno dei film più attesi al Festival di Roma 2008 è "La Banda Baader Meinhof", presentato fuori concorso.
Tratto dal libro omonimo di Stefan Aust, il film di Uli Edel punta a ricostruire le azioni della RAF, seguendo le tre figure di spicco: la giornalista Ulrike Meihof, Andreas Baader e la compagna Gudrun Ensslin. In conferenza stampa Edel è accompagnato da Aust, dal produttore e sceneggiatore Bernd Eichinger e dagli attori Moritz Bleibtreu e Martina Gedeck. |
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La Banda Baader-Meinhof è stata negli ultimi anni oggetto di una riscoperta culturale, i protagonisti stanno diventando delle icone. Con quale stato d’animo vi siete accostati a questa storia? |
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Risponde Bernd Eichinger, prodittore e sceneggiatore: Di solito in non faccio film che abbiano a che fare con me stesso, non ho mai un approccio del tipo “in questo momento storico c’è bisogno di un film così”. Questo film però ha molto a che fare con noi, che eravamo studenti negli anni ’60 e ’70.
Quanto alla trasformazione dei terroristi in icone abbiamo fatto delle ricerche approfondite, un lavoro accurato: già allora erano delle icone, e volevano essere tali. Ovviamente c’è il fascino dei personaggi, ma le loro azioni sono ben altre. |
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Sullo stato d’animo degli attori nell’approccio a questi personaggi sono i due protagonisti a rispondere: |
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Moritz Bleibtreu, che interpreta Andreas Baader: Innanzi tutto c’è il rispetto per il personaggio, si sa bene che ci sono ancora dei risentimenti e che non è ancora possibile avere un quadro chiaro, è una storia difficile da affrontare per la Germania. Personalmente io cerco di sapere tutto di un personaggio, per poi dimenticarmene prima di affrontare quel ruolo.
Martina Gedeck, alias Ulrike Meinhof: Per lavorare siamo partiti dalla considerazione che avevano degli obiettivi politici, e questo è più importante del fascino del loro carattere. |
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Questo film viene presentato al Festival di Roma insieme a “Schattenwelt”, un film che ha una diversa angolazione, più incentrata sul presente, mentre “La Banda Baader Meinhof” parte da un libro, quindi da fatti. Che parallelo si può istituire? |
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Non conosco il film, non posso dare una risposta a questa domanda.
(Da un accenno successivo capisce di che film si sta parlando)
Ah, ho capito, il film nel quale il terrorista ha collaborato alla sceneggiatura. No, non posso dire nulla.
Per me è stato molto importante mettere in scena questo film così come lo abbiamo vissuto noi: si era consapevoli del fascino, che però è poi mutato verso l’orrore, e non è possibile identificarsi con questi personaggi. |
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Perché non si parla della DDR? Perché li chiamate anarchici e non marxisti? Non sono poco credibili le manifestazioni di acclamazione durannte il processo? |
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Sì, era proprio così durante il processo. Ovviamente non c’è materiale video, ma ci sono tante altre testimonianze.
Quanto alla DDR abbiamo fatto la nostra scelta, dovendo spiegare tutto in due ore e mezza: l’aspetto DDR in questo film è meno importante.
Interviene Stefan Aust, autore del libro: L’influenza di DDR e Stasi nella prima parte è marginale: il nostro film finisce nel ’77, quel che riguarda la DDR è successivo.
Completa la risposta Bernd Eichinger: Non sono sicuro se fossero anarchici o marxisti: l’unica differenza era che mettevano in pratica le rivendicazioni del movimento studentesco. |
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E’ un tema complesso, ed è positivo che faccia discutere. Che dite dei punti critici sui quali non c’è chiarezza, quali i suicidi? |
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Stefan Aust: Tutto fa pensare che si sia trattato di suicidi, anche se nella politica non sempre c’è chiarezza. E’ inutile far ricerche su leggende, è stato suicidio, si è capito che i fatti sono andati così (questa è un’opinione personale di Aust, nonché la versione ufficiale, ma le ombre e le incongruenze ci sono tuttora, ndr). |
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Il film risulta bilanciato. Da cosa nasce questa capacità? Da una sorta di pacificazione con quegli eventi, o da uno sforzo? |
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Non penso che si sia fatto pace con la RAF, ma ci si confronta con quest’epoca. Dopo il trentennale se n’è parlato molto, ma non è un tema che sia ancora stato pienamente affrontato. Confrontarsi potrà servire a fare chiarezza.
Io ero affascinato fino ad un certo momento: nel film emerge chiaramente qual è questo punto oltre il quale non è possibile identificarsi.
Di nuovo Stefan Aust: Dei personaggi attraenti diventano ad un certo punto spaventosi, ma nei dibattiti prevale ancora la tendenza a trovare un’altra interpretazione. |
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Come mai tra le motivazioni politiche scompare la realtà interna tedesca? E poi potete dire qualcosa a proposito del progetto di Alexander Kluge, di girare 10 ore di film sul “Capitale” di Marx? |
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Bernd Eichinger: Non ne ho sentito nulla, ma posso dire che non vorrei mai guardarmelo, con tutto l’affetto che ho per Kluge…
Il film ha il titolo del libro: in una prima fare il gruppo è andato in clandestinità, ritrovandosi così isolato dagli altri. Vivevano nel loro mondo, non potevano comunicare con gli altri.
Stefan Aust: All’inizio abbiamo concordato l’angolazione: volevamo descrivere la storia di tre persone, come agivano. |
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Cosa a proposito del dibattito interno, all’uscita del film? I punti fondamentali sono stati notati? Come lo hanno accolto, soprattutto a sinistra? |
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Stefan Aust: La sinistra in Germania va suddivisa in uno spettro molto ampio, c’è chi è d’accordo, chi contro, chi dice che si offende il movimento rivoluzionario.
Bernd Eichinger: La reazione del pubblico è evidente, nei primi dieci giorni di programmazione è stato visto da un milione di persone. Il pubblico più entusiasta è stato chi non sapeva nulla o quasi ed era lieto di conoscere di più, ma anche la generazione più avanzata, che finalmente può parlare ai propri figli di quel periodo. Naturalmente abbiamo ricevuto anche messaggi offensivi, fa parte di un mestiere che a volte mette il dito su una piaga. |
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Uli, come ha vissuto da giovane l’impatto con quelle figure? |
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Potrei raccontare molte cose… Quel che è stato importante è ricostruire una sensazione, un sentimento che vorrei trasmettere ai miei figli. Nella scena del discorso appassionato di Rudi Dutschke c’è un’eufria, una passione che non vedo nei giovani adesso. Per un momento siamo riusciti a far passare quella scintilla.
Io mi sono iscritto all’univesità nel ’68, sono stato amico di spartachisti ma non ne ho fatto parte. Due anni dopo la grande protesta antiautoritaria era finita. I Baader-Meinhof sono andati in clandestinità perché non hanno accettato la fine del movimento. |
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