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Se la polemica ancora una volta risulta riservata ai film italiani, in concorso a Venezia 2005 e non, l’abbandono è di tutti. Tutti l’abbiamo incrociato sulla nostra strada, l’abbiamo sfiorato, l’abbiamo guardato, ci siamo precipitati dentro. Tutti, nessuno escluso. Nell’abbandono di ogni genere. E da lì abbiamo imparato qualcosa, non fosse altro che per sopravvivere. Allora anche l’abbandono può essere un dono. O così Roberto Faenza vuole sintetizzarne lacrime e sangue nel suo film I giorni dell’abbandono. |
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E' stato fedele al libro della Ferrante? |
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Dei tredici film che ho fatto, la metà sono dei romanzi. Ritengo gli scittori i nuovi soggettisti del cinema, visto che in Italia non ne esistono quasi più. Mi sono accostato al libro prima ancora di averlo letto. Ho utilizzato tanti collaboratori perché mi rifaccio alla tradizione del grande cinema italiano del passato dove si lavorava in gruppo. Ho utilizzato il libro più come diario. |
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Cosa le piace del libro? |
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Il fatto che sia un diario di un personaggio, la storia di una trasformazione psicologica, in tutti i miei film c'è la centralità di un personaggio, un concetto letterario che mi piace ripetere al cinema. |
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Dopo tanti anni il ritorno nella sua Torino ha un significato purificatore? |
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Torino ha in comune con la storia del mio film l'abbandono. Il papà e la mamma della città erano la grande industria automobilistica che teneva la città in un' atmosfera grigia e triste. Ho così tanto odiato Torino che non ci sono tornato per 40 anni, ci sono tornato solo tre anni fa. |
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L'atteggiamento della critica giovane è stato negativo. E' un rifiuto dei giovani verso i veri sentimenti? |
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Di fronte ad un film come questo, sul dolore dell'abbandono, e' difficile che si reagisca subito positivamente. Ci vuole un po' di tempo. Mi era già successo, soprattutto con il pubblico giovane con Jona che visse nella balena. Facemmo un tour per le scuole. C'erano due categorie di giovani che lo vedevano: i bambini più piccoli tra gli 8 e i 12 anni che stavano davanti e piangevano e i ragazzi tra i 16 e i 18 che nelle ultime file ridevano e sghignazzavano. Non mi scorderò mai un bambino a Milano che si alzò in piedi e gridò ai compagni più grandi in fondo: Zitti voi che non sapete neanche piangere... |
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Sapeva del pericolo che avrebbe corso dei bei rischi mostrando certe scelte come quella del cane in teatro, o di Olga che rimette il colletto a posto del marito davanti all'amante… |
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Venendo a Venezia sapevo benissimo che qui si appostano ogni anno dei tiratori scelti. C'è gente che viene qui apposta per bersagliare un certo tipo di cinema, soprattutto italiano. Ma sono una minoranza, quindi lasciamoli sparare perché quello che mi interessa è che il film piaccia al pubblico. E sono convinto che avrà una buona accoglienza perché tocca un tema che è sentito da tutti. |
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