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“Il martirio ci porterà in Paradiso”. “Il Paradiso non esiste, esiste solo nella tua testa”. “Meglio un Paradiso nella testa che l'inferno di quaggiù”. L'inferno del conflitto israelo-palestinese e il miraggio di un paradiso dopo il martirio, sono i temi del film di Hany Abu-Assad Paradise now, 24 ore nella vita di un kamikaze, in corsa per l’Oscar. |
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Perché fare un film che racconta 24 ore nella vita di un kamikaze? |
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Perché no? La maggior parte dei registi preferiscono parlare della vita, ma la cosa più importante per un autore è raccontare storie che non sono ancora state narrate o farlo in modo nuovo. Farsi uccidere insieme al proprio nemico è un argomento nuovo per il grande schermo, era interessante per me raccontarlo in modo credibile mostrando il conflitto che si dibatte nel loro animo. Forse altri registi potrebbero essere gelosi per una materia così interessante, io sono stato fortunato. |
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Quanto è realistica la storia che racconta? |
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Non è una storia reale ma neppure i documentari raccontano storie reali, si tratta della visione di un regista sulla realtà. Posso dire però che il mio film è realistico perché questa storia è accaduta e può accadere ancora. |
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In quali condizioni avete girato? |
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Volevo fare un thriller ma in un luogo e un tempo reale. Nella vita di tutti i giorni non c'è suspance almeno in occidente, mentre nella quotidianità della Palestina ce n'è eccome. Volevo rendere il genere del thriller più realistico. Girarlo è stato un inferno perché la situazione in quei posti è molto dura. Abbiamo rischiato la vita per girare il film e se devo dire la verità se tornassi indietro non lo rifarei. |
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E' cambiata la situazione in Palestina con il ritiro dei coloni dalla striscia di Gaza? |
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Per il mondo esterno è cambiato qualcosa, per la Palestina non è cambiato nulla. Non voglio essere nichilista, a questo passo spero seguirà un altro passo e un altro passo. Ad oggi però la maggior parte dei palestinesi non ha gli stessi diritti degli israeliani e sono costretti a vivere sotto l'occupazione, con check point dappertutto e con la costruzione del muro che non si deve dimenticare. |
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Il suo film rappresenta la Palestina nella corsa agli Oscar ma gli Stati Uniti non riconoscono il suo paese in quanto nazione... |
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L'Oscar non sono gli Stati Uniti, l'Academy è fatta da persone come me e lei che riconoscono che la Palestina ha il diritto di avere uno stato e ha il diritto di presentarsi come popolo attraverso le sue storie. Io sono onorato di presentare questo film non per parlare di una nazione, questo non mi interessa, ma per parlare di un caso perché il problema palestinese è un caso molto più che un paese. |
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