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Esce venerdì 15 ottobre "Adèle e l'enigma del faraone", trasposizione cinematografica dei fumetti di Jacques Tardi, che segna il ritorno di Luc Besson al cinema "in carne e ossa" dopo la trilogia del popolo dei Minimei. Adèle Blanc-Sec (Louise Bourgoin) è una novella Indiana Jones, che trafuga la mummia di un famoso medico per farlo tornare in vita, metre Parigi è in preda al panico per la presenza di uno pterodattilo... La distribuzione italiana ha diffuso una breve intervista al regista, che parla degli aspetti tecnici della lavorazione. |
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L'incontro con Jacques Tardi: |
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Tutto è cominciato circa dieci anni fa quando mi sono letteralmente innamorato di Adèle. Ho contattato subito Tardi che sfortunatamente mi disse che aveva già affidato l’adattamento cinematografico di Adèle ad un altro regista. Rimasi molto deluso ma anche felice che avesse scelto un “grande” regista e gli augurai ogni bene. Aspettai con impazienza l’uscita nelle sale. Dopo tre anni di inutile attesa, richiamai Tardi che mi disse che il progetto con quel regista era saltato e che per il momento aveva abbandonato l’idea di un adattamento cinematografico di Adèle. Ma io, deciso a fargli cambiare idea, l’ho incontrato diverse volte e ho sempre cercato di rassicurarlo facendogli vedere quello che avevo fatto fino ad allora. Abbiamo aspettato un altro anno per poter ricomprare i diritti di Adèle e alla fine dopo sei anni di attesa ed estenuanti trattative sono riuscito a convincere Tardi a cedermeli. |
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Come hai lavorato per trasformare i fumetti di Tardi in un film? |
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Ho iniziato scrivendo una prima versione dell’adattamento che fosse il più fedele possibile ai fumetti originali, all’universo di Tardi e le caratteristiche di Adèle Blanc-Sec.
Quando gli ho consegnato la prima sceneggiatura, Tardi era in preda all’ansia più totale: capisco che deve essere stato snervante visto che per scrivere l’adattamento cinematografico mi ero dovuto comunque impossessare di un personaggio che lui aveva inventato. Ma le cose sono andate molto meglio di quanto pensassi perché non solo ci ha ritrovato la sua opera e il suo personaggio, ma l’ha vista come una bellissima sceneggiatura, non una sterile trasposizione della storia per immagini. Ed è stato quello a conquistarlo; l’unico cambiamento che mi ha chiesto riguardava il nome di uno dei personaggi. |
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La scelta di Louise Bourgoin: |
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Era da un po’ di tempo che seguivo la carriera di Louise. Ciò che mi ha attratto particolarmente è stata la sua straordinaria versatilità, una cosa estremamente rara, necessaria per il ruolo di Adèle visto che nel film adotta circa 15 travestimenti. Quando ho incontrato Louise, siamo andati immediatamente d’accordo e sono stato subito certo che sarebbe stata lei la mia Adèle.
Louise ha una mentalità molto aperta, è sempre pronta e disponibile a passare da una cosa all’altra in un secondo, proprio come Adèle, anche se un po’ meno pazza. È anche una grande lavoratrice ed estremamente affidabile. Con Adèle, le cose sono un po’ più complicate perché lei va per la sua strada e niente e nessuno possono fermarla! Sul set la troupe la chiamava "la contabile " perché controllava sempre tutto e alla fine conosceva ogni cosa a memoria. Lavorare con lei è stata una continua scoperta! |
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Mathieu Amalric è Diolovuole: |
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Mathieu Amalric è stato uno dei primi che ho scelto perché mi piace molto come uomo e come attore. È uno dei maggiori talenti della sua generazione ed è capace di metamorfosi incredibili. La sua interpretazione de “Lo scafandro e la farfalla” è semplicemente straordinaria.
Quando l’ho incontrato per proporgli il ruolo di Diolovuole, lo ha rifiutato dicendomi che aveva deciso di smettere per un po’ di recitare per dedicarsi alla carriera di regista. Ma alla fine sono riuscito a convincerlo ad accettare grazie anche all’aiuto dei suoi figli. Infatti, tornato a casa e dopo aver raccontato l’accaduto a suo figlio, lui gli ha detto che era pazzo...
Quando il pubblico vedrà Dieuleveult nel film, non credo che riconoscerà Mathieu a meno che non sappia già quale ruolo interpreta. Di viso è assolutamente irriconoscibile e gli ho anche alterato un po’ la voce. Si è calato totalmente nella parte e ci ha regalato un’interpretazione eccezionale. |
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Il lavoro più interessante è stato fatto con le scenografie: |
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Le scenografie svolgono un ruolo cruciale in Adèle, e per questo mi sono avvalso una volta ancora di Hugues Tissandier, che ha collaborato con me in “Giovanna d’Arco” e nella trilogia di “Arturo”. Siamo andati molto d’accordo.
Come al solito abbiamo iniziato a lavorare con dei modellini in scala ridotta dei set grazie ai quali ho scelto le angolazioni della macchina da presa. Con i modellini noti subito se i soffitti sono troppo alti o troppo bassi, o se le pareti sono troppo distanti tra di loro. Adesso Hugues usa la tecnologia digitale per disegnare e pre-visualizzare i set il che vuol dire che si può fare un giro virtuale di tutto gli ambienti per preselezionare le angolazioni della macchina da presa e gli obiettivi da utilizzare. Con questo metodo si risparmia parecchio perché si limita la costruzione dei set solo a quelli che saranno veramente nel film. Le nostre ricerche sono state facilitate dall’abbondanza di testi sull’Antico Egitto e dalla preziosa collaborazione di Jacques Tardi, che ci ha aperto la sua biblioteca privata: possiede un appartamento pieno zeppo di libri d’epoca e di documenti, e con Hugues ci hanno passato tanto tempo. Credo che Tardi sia rimasto piuttosto colpito dalla qualità del nostro lavoro a giudicare dalla sua reazione quando ha visto l’appartamento di Adèle per la prima volta. È stato commovente vedere Jacques arrivare sul set ed entrare nell’appartamento della protagonista - che in fondo era stato creato da lui - e venire raggiunto da Louise, vestita da Adèle, con un abito verde e il cappello con le piume, che gli ha dato uno dei suoi fumetti chiedendogli di autografarlo. Un momento magico. |
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Che tipo d'esperienza è stata, girare questo film? |
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Ogni film è un’esperienza a sé per via della storia, dei personaggi, degli attori e delle persone che incontri ma anche e soprattutto per come sei tu quando lo stai realizzando. Quando fai il tuo primo film, è tutto nuovo.
Avevo vent’anni quando ho diretto “The Last Combat”. Poi il tempo passa e a 25-30 anni non sei più la stessa persona, come non lo sei a 40, o a 50...
C’è una sorta di complessa alchimia tra la tua crescita spirituale e intellettuale e le esperienze pratiche. Ma il punto è che quando comincio a girare un film, devo sapere come metterò a frutto tutte le esperienze passate e come al contempo riuscirò ad adottare un approccio nuovo e fresco sulle cose, perché è questo il segreto della riuscita di un film.
Su Adèle, abbiamo fatto tantissimo lavoro di pre-produzione e mi sono molto concentrato su quella fase anche perché per la prima volta non ero il produttore del film. Avere un produttore, Virginie Besson-Silla, mia moglie, è stata un’esperienza molto piacevole perché ho avuto la possibilità di dedicare tutte le mie energie alla regia. E sono stato molto esigente anche e soprattutto con me stesso. Volevo a tutti i costi che questo film riuscisse bene e desideravo che il processo di montaggio fosse solo un’esperienza piacevole. |
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