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Eran Riklis pensa che tutti abbiano una missione nella vita e che la sua sia quella di interessarsi alla vita delle persone, di individuare i cambiamenti della società, di avere uno sguardo insieme affettuoso e senza concessioni sull'anima e il cuore degli esseri umani, di porgere uno specchio ai suoi contemporanei affinché ci si possano riscoprire, di suggerire nuovi modi di vedere il mondo, invece di attenersi a tradizioni e mentalità immutabili. La sua missione è fare film. Film come "Il responsabile delle risorse umane". |
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Com'è nata l'idea di adattare per il cinema il romanzo di A. B. Yehoshua Il responsabile delle risorse umane? |
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E' stato il mio produttore Haim Mecklberg che mi ha proposto questo progetto, perché pensava che potesse corrispondermi: aveva ragione!
Insieme al mio co-sceneggiatore, Noah Stollman, abbiamo voluto rimanere fedeli al libro sentendoci comunque totalmente liberi di seguire la direzione che ci sembrava più giusta dal punto di vista narrativo e cinematografico. Per me, l'adattamento cinematografico di un romanzo diventa un'opera a sé stante che deve innanzitutto funzionare in modo autonomo, senza che ci sia bisogno di far riferimento al libro. Anche se occorre in ogni caso rispettare il materiale originale |
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Il responsabile delle risorse umane è una denuncia del cinismo del mondo dell'impresa? |
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Non proprio, anche se questo elemento fa ovviamente parte del progetto. Io non penso che il film parli del cinismo aziendale quanto piuttosto del cinismo e dell'indifferenza che caratterizzano tutti noi quando guardiamo qualcuno che ci è estraneo o quando sentiamo parlare della sofferenza altrui. Per me, il vero tema del film è la ricerca della propria umanità. |
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Perché ha scelto un panificio? |
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Nel libro si parla di un panificio e mi sembrava giusto, perché il pane è un alimento base, che nasce della terra e che è sempre presente nella nostra vita quotidiana. Da un punto di vista religioso, il pane è il simbolo del corpo e questo funziona bene nel film, senza mai diventare una metafora troppo pesante. |
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Il protagonista del film non si assume le proprie respnsabilità, né in famiglia né sul lavoro. Il suo viaggio in Romanie è un percorso iniziatico? |
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Sì, perché questo viaggio, questa missione, gli permette di scoprirsi o di ri-scoprirsi. Deve assolutamente riconciliarsi con sé stesso, con la sua famiglia e con chi gli sta intorno, prima che sia troppo tardi e che si ritrovi condannato a condurre una vita solitaria fatta di autocommiserazione.
Deve perciò prendere le distanze dalla sua realtà immediata - ed è ciò che facciamo tutti in questo tipo di situazione: fuggiamo dal quotidiano., preferiamo mentire a noi stessi, e reimpariamo a spese nostre ad accettare a realtà per quella che è.
Per compiere questo percorso spirituale e diventare un uomo migliore, lui ha bisogno di fare un vero e proprio viaggio. Penso che in fondo, il responsabile delle risorse umane sia una persona perbene e un uomo di grande sensibilità. |
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Israele sembra essere una "terra promessa" per gli immigrati come la giovane rumena che lavora nel panificio. Era importante per lei ricordare questa realtà spesso poco conosciuta? |
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La condizione degli immigrati è un problema ricorrente in un paese come Isreale. Vengono qua per trovare lavoro e sopravvivere - pensano di arrivare in Terra Santa e trovano solo disperazione e sofferenza. Questi immigrati sono il punto di partenza del mio film. |
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Nei suoi film, lei mette a confronto universi molto diversi tra loro. |
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Sono sempre alla ricerca del lato umano nei conflitti e negli scontri. Credo nell'umanità, anche se penso che si nasconda il più delle volte dietro ai pregiudizi, all'odio e alla cecità. Ma sono convinto che l'umanità ci sia. |
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Lei ha saputo ritrovare l'anima "rumena"- insieme tragicomica e assurda – che contraddistingue spesso il cinema rumeno. E' uno stile che sente vicino? |
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Adoro il cinema rumeno e la musica rumena, anche se non conosco molto bene la cultura di quel paese. Ho cercato di saperne subito di più sui costumi, l’umorismo, l’umanità, la malinconia e la complessità di quel popolo. |
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La musica di Cyril Morin presenta accenni di musica zigana. |
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Con Cyril, abbiamo effettivamente deciso di esplorare dei temi della musica zigana, senza però calcare la mano. Mi sembra che il risultato finale funzioni bene, perché riflette sia lo spirito del protagonista che quello del suo viaggio in Romania. |
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Contrariamente ai suoi film precedenti, che sono piuttosto “stanziali”, Il responsabile delle risorse umane fa pensare a un road movie. |
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Il film è chiaramente un road movie e ubbidisce peraltro ai codici di quel genere che conosciamo tutti molto bene. È una cosa che mi piace molto, perché permette di avere una certa libertà narrativa pur rimanendo all’interno di un genere codificato. |
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I suoi due film precedenti riguardavano, in un modo o nell’altro, il conflitto israelo-palestinese. C’è un filo conduttore fra quei film e Il responsabile delle risorse umane? |
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I miei film parlano della società israeliana da diversi punti di vista – politico, sociale e personale – e sono in questo senso tutti legati fra loro. Se “Il responsabile delle risorse umane” può sembrare, in apparenza, meno impegnato politicamente, lo è invece secondo me tanto quanto “La sposa siriana” o “Il giardino di limoni”, perché analizza la psicologia israeliana e s’interessa allo sguardo degli israeliani sugli stranieri – che siano arabi o no – e sul mondo. |
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Lei si è spesso definito come un “regista del mondo”. Lo pensa ancora adesso? |
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Sono israeliano, ma penso davvero di essere al “servizio” del mondo intero: mi piace l’idea di poter raggiungere gli spettatori ovunque nel mondo, e che i miei film riescano ad emozionare o a far ridere gente di ogni luogo. È quello che mi spinge a fare il cinema. |
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