Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Intervista: Rose Bosch

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Esce nelle sale italiane giovedì 27 gennaio, Giorno della Memoria, il film “Vento di Primavera” dell'ex-giornalista Rose Bosch. Il film, con Jean Reno nei panni di un medico ebreo e Mélanie Laurent in quelli di un'infermiera, racconta della retata del luglo del '42 in cui più di 10 mila ebrei furono portati al velodromo di Parigi e, dopo qualche giorno, in un campo di concentramento. “Vento di Primavera” ripercorre quei momenti in cui 10 mila ebrei si videro privati della libertà e poi della vita, ma altrettanti furono salvati dal coraggio dei cittadini francesi.
Intervista Rose Bosch: Domanda 1Qual è stata la sua reazione quando le hanno parlato di un film sulla retata del Vélodrome d’Hiver?
Da anni Ilan (il prduttore Ilan Goldman, ndr) mi parlava di questa retata, ne era ossessionato. Per quanto mi riguarda, il fatto che non esistessero delle immagini – soltanto una foto dei camion vuoti davanti al velodromo – mi sconvolgeva. Io non sono ebrea, ma abbiamo molte cose in comune, soprattutto i bambini. Bambini che appartengono a entrambe le culture che avrebbero potuto essere perseguitati. Io credo che sia stata la loro esistenza a farmi considerare la Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto da un punto di vista radicalmente diverso.
E’ la prima volta che degli adulti si sono interessati espressamente ai bambini, allo scopo di annientarli; è un fatto unico nella storia del mondo in simili proporzioni: un milione e mezzo di bambini sono stati sterminati. Questa è una delle ragioni che mi hanno spinta a realizzare questo film e a girarlo dal punto di vista dei bambini, ma per molto tempo ho creduto che un film simile fosse impossibile: mi chiedevo se ne avrei avuto la forza morale. Io sono un’ex giornalista, so come ci si immerge in un argomento, come questo turbi il tuo sonno, la tua vita. Così indugiavo, non mi decidevo. E poi c’erano le centinaia, le migliaia di domande: come rappresentare una simile barbarie restando il più possibile vicina al senso di umanità? Come far recitare centinaia di bambini, quando il personaggio principale ha appena cinque anni? Come ritrovare dei superstiti, quando appena 25 persone su 13.000 rastrellate sono ritornate vive, e nemmeno uno dei 4.051 bambini? Come rendere giustizia ai "giusti" di Francia, coloro che hanno aiutato quei bambini ebrei, senza dare l’impressione di voler unicamente fornire ai francesi una coscienza pulita?
Intervista Rose Bosch: Domanda 2E lei ha trovato queste risposte?
Sì, grazie alla sincerità. La mia, quella degli attori e della troupe che hanno condiviso con me questa avventura. E’ la risposta morale. Per quanto riguarda la risposta artistica, per girare le scene con un bambino di 5 anni che soffre, ho utilizzato il gioco, tutto quello che permette agli attori più piccoli di instaurare un approccio leggero con la macchina da presa e soprattutto con totale innocenza. Non ho dovuto spiegare ai gemellini che interpretano il ruolo di Nono che cosa è stata la Shoah, o i treni di deportazione. Loro sapevano che cosa è un prigioniero e recitavano nella lingua madre. Non si sono mai identificati col personaggio. E poi ho fatto in modo che la mia regia mettesse il pubblico al centro dell’azione affinché si sentisse umiliato, ingannato, maltrattato, ho fatto in modo che fosse in costante empatia.
Intervista Rose Bosch: Domanda 3Per quanto riguarda la narrazione?
Ho cercato di mostrare la quotidianità delle famiglie ebree, affinché fosse ben chiaro che erano come le altre. Ho mostrato questa comunità come era: persone molto modeste che non minacciavano nessuno. Che lavoravano duramente senza lamentarsi, senza creare disordine sociale, che veneravano la Francia. Ho deciso che la mia rappresentazione non sarebbe mai stata passiva. Troppo spesso al cinema si sono mostrati i deportati come esseri passivi, sottomessi. Io volevo che si capisse che nessuno ha il diritto di puntare delle armi contro i figli altrui.
Intervista Rose Bosch: Domanda 4E’ un film di parte?
Io non sono ebrea, quindi non lo è. Credo di aver mantenuto la giusta distanza. Io vivo una condizione mista, ma non ho mai rinunciato a me stessa, alle mie origini mediterranee. Anche mio padre fu internato, come anarchico catalano nei campi di Franco. Anche lui evase, come Joseph, ma aveva 20 anni! La nostra famiglia le persecuzioni le aveva già conosciute. Per me l’Olocausto ha una risonanza universale. Un giorno di quattro anni fa ho detto a Ilan : "Voglio fare questo film, ma a condizione di incontrare dei superstiti, perché io voglio raccontare la vita, non la morte. Voglio parlare del futuro, non del passato".
Intervista Rose Bosch: Domanda 5Quanto è durato il periodo di documentazione?
Praticamente tre anni, mi ci dedicavo tra le 7 e le 9 ore al giorno, cinque giorni a settimana. Durante le riprese non ho mai avuto un momento di scoraggiamento, ma il periodo dell’inchiesta mi ha provato. Soprattutto leggere le lettere indirizzate ai campi di concentramento scritte dai bambini che erano stati deportati senza i genitori o da quelli che erano stati gettati dai treni. Erano richieste d’aiuto, parole così pudiche e al tempo stesso dignitose... quelle piccole parole erano intollerabili. Mi immergevo in quelle letture. Quando ci si butta a capofitto in un simile vortice, si tenta di capire, ma in questa tragedia c’è qualcosa che rientra nella sfera dell’inesplicabile. E’ come una linea dell’orizzonte che si allontana davanti a noi, man mano che avanziamo.
Ho ripercorso giorno per giorno, ora per ora, lo svolgersi degli eventi accaduti. So tutto dei presenti, persino quali liquori hanno bevuto durante quella riunione al civico 31, dell’Avenue Foch, il quartier generale della Gestapo. Presto mi sono resa conto che non avrei rispettato la cronologia storica per una ragione molto semplice : sarei dovuta entrare in un tunnel di trattative politiche di circa 20 minuti, seguite dalla retata. Ma al momento di scrivere, l’altra parte del cervello, l’emisfero sinistro, quello della sensibilità, dell’immaginazione, ha preso il sopravvento. La cronologia è saltata. Nel film coesistono parallelamente eventi accaduti a mesi di distanza. E’ tipico dell’arte affrancarsi dalle costrizioni.
Intervista Rose Bosch: Domanda 6Qual è stato il primo personaggio reale che ha identificato?
Quello dell’infermiera, interpretata da Mélanie in modo straordinario. Annette era una donna eccezionale. Mi sono imbattuta in alcune interviste radiofoniche e televisive di un’infermiera che in punto di morte – è scomparsa nel 1995 – aveva accettato di raccontare quello che aveva visto. Annette Monod, inviata al Vel’ d’Hiv, si rese conto della catastrofe sanitaria in atto, della profonda ingiustizia. Organizzò l’arrivo degli internati nei campi del Loiret. Rimase con loro, accettando di partire con i deportati senza sapere che erano destinati ai campi di sterminio. Quando l’ha saputo, è stata ricoverata in ospedale quattro mesi. Ma non ha mai abbandonato la sua missione. Alla fine della guerra era al Lutetia per assistere i sopravvissuti.
Dopo la guerra ha fatto visita nelle carceri ai condannati a morte fino all’abolizione della pena capitale nel 1981. Dopo la pensione ha militato per Amnesty International contro la tortura. Avrei voluto sapere di più su di lei, ma è morta senza figli.
Intervista Rose Bosch: Domanda 7Dove ha rintracciato il personaggio del bambino, Jo Weismann, il sopravvissuto, protagonista del suo film?
In un documentario di 15 anni fa. Ero scoraggiata, ma mi forzai a visionare quell’ennesimo documento. Poi, all’improvviso sentii un uomo, Joseph Weismann, dire: "Vivevamo a Montmartre… eravamo in Rue des Abbesses, vennero a prenderci e dopo tre o quattro giorni ci portarono alla Gare d’Austerlitz... e poi arrivammo al campo di Beaune-La-Rolande". Non era possibile! L’unico bambino sopravvissuto ai campi di cui ero a conoscenza era un neonato di sei mesi che avevano nascosto dentro una zuppiera per farlo scappare. Joseph Weismann poi proseguiva: "Incontrai un amichetto che si chiamava Joseph Kogan e decidemmo di evadere, passammo sotto 5 metri di filo spinato". Ero sopraffatta dall’emozione, quando lo sentii dire: "Se un giorno qualcuno farà un film su quello che ci è accaduto... No, credo che nessuno oserà mai, perché è disumano".
Intervista Rose Bosch: Domanda 8Qual è stata la fase più dura durante la scrittura?
E’ stata difficile l’inchiesta, non la scrittura. Io ho scritto questa sceneggiatura in cinque settimane, senza interruzione, tutta d’un fiato. E’ stato come un fiume in piena; il compito più difficile era di intrecciare in modo logico e fluido le tre storie che si snodano: quella dei deportati, quella di Pétain, Laval e gli altri e quella di Hitler sulla terrazza del Berghof. In questo sono stata agevolata dal desiderio di fare questo film. Il mio morale non è mai stato tanto positivo come durante le riprese. Una volta che ci sei dentro, che sei sul set, hai la sensazione che stai per realizzare qualcosa di cui non ti pentirai mai, a prescindere dal successo che avrà il film. Certo, fisicamente è stato duro, e non sempre facile con centinaia di bambini e comparse. Ovviamente tutti noi abbiamo manifestato dei sintomi psicosomatici: lombalgie, herpes, cali di voce, emicranie... ma sul set siamo stati eroici.
Intervista Rose Bosch: Domanda 9Se lei dovesse conservare una sola immagine di questa avventura...
Il piccolo Nono che corre con il suo orsacchiotto infilato sotto il braccio quando viene a sapere che i bambini partono per raggiungere i loro genitori. Il bambino corre verso il camion smanioso di partire perché crede di ritrovare la sua mamma. Quel bambino è esistito, è stato descritto dalle infermiere. E’ questa l’immagine: quella della fiducia cieca che questo bambino testimonia davanti agli adulti, quella che resta la più forte... E anche l’incontro con Joseph. Quando è arrivato a Montmartre, non è riuscito a restare più di un’ora sul set, era troppo sconvolto. Era accompagnato dalla figlia che è ripartita portandosi via una copia della sceneggiatura. Poi mi ha inviato una mail dicendo: "Volevo ringraziarla. Finalmente sappiamo che cosa è successo nella baracca durante la perquisizione". Jo non era mai riuscito a raccontarglielo. Al Vel’ d’Hiv Joseph ha una breve scena con suo nipote. Poco prima è successo qualcosa di incredibile. Quando è arrivato al Vel’ d’Hiv ci siamo accorti che era il 16 luglio del 2008, ovvero 66 anni esatti dalla retata. Allora abbiamo deciso di osservare un minuto di silenzio. Non potrò mai scordare quel momento.
[ fonte: pressbook del film ]
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Vento di Primavera
di Rose Bosch
Drammatico, 2010
115 min.
Film diretti:
2014  Un'estate in Provenza
2010  Vento di Primavera