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Arriva nelle sale italiane mercoledì 16 marzo, dopo la presentazione al Festival di Venezia, un film atipico, a zero budget ma con una firma di enorme prestigio: “Sorelle Mai” di Marco Bellocchio. A quasi mezzo secolo di distanza Bellocchio torna sui luoghi de “I pugni in tasca”, che poi altro non sono che la sua casa a Bobbio e il fiume Trebbia. Precettata tutta la famiglia per mettere in scena una storia fatta di frammenti, a volte disomogenei, interpolati da brevi flash de “I pugni in tasca”. |
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Protagonisti sono il tempo e lo stabile di Bobbio, con le sue due sorelle. Come ha lavorato? |
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Ci sono tanti protagonisti; verso le mie sorelle c'è un'attenzione e un affetto particolare, “Sorelle mai” è la scelta, a cui in parte sono state costrette, di rinunciare in parte alla vita per una vita protetta. "Perché non vi siete mai sposate?" "Le circostanze". Dei personaggi tra Cechov e Pascoli.
Lo stabile è la casa di famiglia, dove ho girato buona parte de i pugni in tasca, dove dormo quando vado a fare i laboratori a Bobbio, quindi ho una familiarità con questa casa, che è cambiata in parte rispetto a I pugni in tasca ma ha tenuto la stessa struttura.
Il film sono anche i giovani, sia i figli che vanno e tornano continuamente in questo immobile paese; e sono anche i personaggi di fantasia, Donatella e Alba. Spesso durante il laboratorio chiedo agli attori se vogliono passare qualche giorno a Bobbio inventandoci dei personaggi. Con Alba è accaduto così, il personaggio lo ha inventato in un paio di giorni. Con Donatella invece avevamo fatto “Il regista di matrimoni”, e in quanto sorella era un personaggio obbligato a tornare negli anni.
Il film da una parte è in presa diretta sul passato e sul presente, ma tutti i personaggi sono interpretati da attori. |
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Quando è nata l'idea di dare questa forma al materiale girato? |
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Ogni episodio è stato elaborato in una sua autonomia, infatti ogni episodio ha un inizio e una fine. Ci sono stati due step: il primo è stato la possibilità di fare l'incontro con Bertolucci al Festival di Roma, per il quale ho messo insieme tre episodi che però avevano ancora una forma autonoma; poi l'invito di presentarlo a Venezia mi ha permesso di rielaborare tutto il montaggio del film che mantiene un andamento di apparente casualità, ma i temi che ricorrono ne danno una particolare unità. Di questi tempi è un film sicuramente rivoluzionario, e mi riferisco alla mediocrità del cinema attuale italiano che però è garantito dal successo di botteghino che costringe gli autori a forme convenzionali. |
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Negli ultimi due episodi c'è un approccio differente, quali spunti li hanno animati? |
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L'episodio con Alba è nato da un racconto di una mia amica, professoressa di filosofia; nel montaggio c'era stato qualche dubbio se inserirlo o meno, ma a noi sembrava che si inserisse abbastanza bene. Nell'ultimo episodio c'era l'idea di chiudere, abbiamo ritrovato i personaggi degli altri episodi per dargli il senso della conclusione. |
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In futuro saremo costretti a fare un lavoro in clandestinità nel cinema? Un lavoro underground perché non avremo altre possibilità di operare? |
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La tendenza penso sia questa. Ma questa è una dimensione di disperazione che riguarda purtroppo i giovani; io nella mia maturità me la cavo perché sono abbastanza conosciuto anche all'estero, penso di poter trovare il denaro per fare altri film prima di ritirarmi – spero il più tardi possibile.
Sicuramente film per il piacere di farli, che non abbiano come scopo il botteghino, in questo momento sono quasi impossibili. La clandestinità significa ovviamente cercare di fare dei film che costino non poco, ma pochissimo. E' difficile portare questo film ad esempio, è a costo zero ma con dei lussi, è stato girato in dieci anni, edito con molta cura (l'edizione è stata finanziata dalla RAI), ci sono ottimi attori, in un certo senso irripetibile. O almeno per me: se tornerò a Bobbio farò altre cose, ad esempio abbiamo girato un episodio che si chiamava “La monaca di Bobbio” sull'inquisizione del '600, con quattro costumi dentro un vecchio carcere, e che potrebbe diventare un lungometraggio fatto con lo stesso spirito di “Sorelle Mai”; in una situazione di cinismo come oggi bisogna inventare più che in passato. |
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Il progetto di "Italia mia" è stato abbandonato? |
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“Italia mia” per il momento non è abbandonato ma accantonato; dovrebbe essere una rappresentazione del potere, e il potere per essere rappresentato bisogna farlo in modo pomposo, sontuoso, e quindi il film è costoso. Le persone a cui mi sono rivolto mi hanno detto di pensare a un altro progetto...
Però quando si ricevono tanti no bisogna chiedersi se il proprio progetto abbia dei problemi; siamo in un tempo talmente bloccato che bisognerebbe avere la fantasia di Bulgakov quando scrisse "Il maestro e Margherita", che in pieno stanilismo raccontò la Russia di allora con una fantasia talmente geniale che se la cavò e non venne mandato in Siberia.
Io non farò mai la vittima per i rifiuti, anzi cerco di imparare dalle critiche se motivate. In questo soggetto ci sono delle cose da cambiare. |
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