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Esce venerdì 8 aprile, distribuito da Medusa in 450 copie, il terzo film da regista di Paul Haggis, sceneggiatore tra gli altri di diversi film di Clint Eastwood e degli ultimi 007.
"The Next Three Days" è un thriller in cui Russell Crowe cerca di tirare fuori di prigione la moglie Elizabeth Banks, accusata di omicidio, e allo stesso tempo di crescere il figlio. Haggis ha incontrato la stampa romana in occasione dell'uscita del film, spiegando quali messaggi vuole veicolare attraverso il film. |
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Perché fare un remake di “Pour elle”? |
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E' un film che mi è piaciuto moltissimo, è potente. Quanto al fare un remake in generale non ci vedo niente di male, se può andare bene per Scorsese figuriamoci per me...
Inoltre volevo porre ai protagonisti dei quesiti che nell'originale non sono stati affrontati: mi piace indagare sulla natura del credere, e continuerò a farlo; la natura dell'amore è un tema che affascina da sempre, e in questo la forma del film, sia thriller, drammatico o commedia, non ha alcuna importanza. La cosa più importante è che il film intrattenga e faccia riflettere. |
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Perché alla fine non lascia allo spettatore il dubbio su come siano andate le cose? |
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Ho fatto questo? E' quel che pensate voi, ogni spettatore tende a voler avere il lieto fine: quando vediamo l'ultimo flashback ci diciamo “è questa la verità”, eppure sono le stesse immagini viste all'inizio ma dal punto di vista di qualcun altro.
La cosa importante è che quest'uomo mette alla prova ciò in cui crede, l'amore per una donna che forse, dopo quello che fa, non lo amerà più. |
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L'unica verità è dunque l'amore? |
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Il problema è che tutti vogliono avere più di quanto siano disposti a dare, e questo non vale solo in amore, ma anche nel mondo degli affari, del lavoro, della politica; il segreto è proprio questo, dare più di quanto si riceve. Questo è il motivo per cui ho scritto sceneggiature senza essere pagato, per cui non ho avuto alcun compenso per “Crash”. Laddove ho fallito è dove il mio ego mi ha detto “merito di più”; l'ego distrugge molte carriere a Hollywood. |
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Quali considera i suoi fallimenti? |
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Quanto tempo avete? (ride)
In “Crash”, come anche in “Elah”, tratto il peccato dell'orgoglio, che mi colpisce direttamente: secondo me è il peggiore, si trascina tutti gli altri. Sono qui a parlare davanti a 80 persone, è difficile non sentirsi importanti: devo ricordare che non sono un regista migliore di prima solo eprché me lo dicono, però è difficile riportarsi continuamente con i piedi per terra. La battaglia per me è tra la falsa modestia e la vera umiltà. |
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Come sceglie i soggetti? |
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La scelta è sempre la stessa, trovare una buona storia e raccontarla bene. A volte è più semplice, altre volte meno: ad esempio “Million Dollar Baby” mi ha richiesto un anno, l'ultimo un anno e mezzo, la sbagliavo continuamente. Ci sono due regole: mai essere soddisfati, senza però diventare cinici; e prendere sempre seriamente il lavoro, ma meno seriamente se stessi. |
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C'è qualcuno a cui sottopone le sue sceneggiature, o le giudica da solo? |
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Mia moglie è il mio giudice. Non sempre ha ragione, ma di lei mi fido completamente: quando le ho fatto leggere la sceneggiatura di “Million Dollar Baby” per due giorni non mi ha rivolto la parola, voleva cambiare il finale. L'ultimo non glie l'ho fatto leggere per un anno, poi le è piaciuto. Senza scendere in dettagli, ci siamo separati un anno e mezzo fa, ma per queste cose io continuo a fidarmi di lei. |
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Lei affronta nei film i conflitti che le pone la vita? |
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La vita è incredibilmente complessa: spesso si è sicuri di avere ragione al 100%, e invece si ha torto; è facile per noi giustificarci. Queste sono le domande che pongo: la posizione morale assunta è giusta, o semplicemente ti fa sentire meglio?
Penso che più migliori come sceneggiatore, più tendi a peggiorare come essere umano... |
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Aveva già scelto Russell Crowe mentre scriveva la sceneggiatura? |
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No, è stato dopo. Penso che sia meglio scrivere i personaggi e dopo immaginare chi possa interpretarli; al contrario sarebbe un pessimo servizio all'attore, scriveresti in funzione di quello che l'attore ha già fatto.
Anche se gode a volte di fama non buona, io non penso sia così: Russell è un attore incredibilmente generoso, è stato molto bello lavorare con lui sul set. |
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Questo è il primo film che fa con la sua nuova casa di produzione. Perché fondate tutti case di produzione? E' impossibile lavorare con le major? |
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Sì, con quelle di Hollywood è impossibile...
A parte gli scherzi, le decisioni finanziarie sono decisioni creative e viceversa. Quando si fa un film è necessario assumersi tutte le responsabilità, e io lo faccio: se hai 5 giorni per fare un film e per 4 piove, è tua la responsabilità; non puoi dare la responsabilità agli attori o ai produttori, devi fare tutto nella miglior maniera possibile. |
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Il suo prossimo progetto? |
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Posso dire giusto il titolo, “Third Person”. Sono 3 storie d'amore che s'intrecciano, un po' come in “Crash”. |
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Che cosa pensa della politica americana, riguardo soprattutto i bombardamenti in Libia? |
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Ai tempi di “Nella valle di Elah” avrei avuto molto da dire sull'amministrazione Bush, e sono stato l'unico a contestare Obama dopo sole 3 settimane dall'elezione per la mancata chiusura di Guantanamo.
Però nel caso specifico non conosco la situazione così bene da andare oltre a semplici considerazioni: la prima è che chi lotta per la libertà merita di essere sostenuto; l'altra è che facciamo facilmente ricorso alla violenza, non siamo sufficientemente intelligenti da capire che la pace richiede impegno, collaborare con il nemico per farlo diventare un amico. Noi invece preferiamo crearci dei nemici per poi attaccarli e combatterli. Voglio chiudere con una domanda: non avremmo meno problemi se non avessimo dato appoggio allo Scià, a un regime assassino da cui abbiamo tratto profitto? Non siamo forse proprio noi a crearci i nostri stessi nemici? |
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