Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Intervista: Philippe Le Guay

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La Archibald porta in Italia, in circa 25 copie, la commedia francese “Le donne del 6° piano” di Philippe Le Guay, regista e sceneggiatore cinquantacinquenne che da quasi trenta alterna cinema e tv. Il film, con un ottimo Fabrice Luchini, racconta della monotona e noiosa vita della borghesia parigina dei primi anni '60, immaginando l'arrivo di un cameriere spagnolo capace di rovesciare gli equilibri dei suoi vicini di casa. L'ufficio stampa del film ha distribuito questa breva intervista al regista.
Intervista Philippe Le Guay: Domanda 1Come è nato questo progetto?
Tutto ebbe inizio con un ricordo d’infanzia. I miei genitori avevano assunto una domestica spagnola che si chiamava Lourdes, e vissi i primi anni della mia infanzia in sua compagnia. Alla fine passavo più tempo con lei che con mia madre, tanto che quando iniziai a parlare, mischiavo il francese e lo spagnolo. Quando iniziai la scuola materna parlavo una sorta di sabir incomprensibile, e dicevo le preghiere in spagnolo. Anche se non ho ricordi precisi di quei primi anni, mia madre me ne ha parlato e qualcosa di tutto questo è rimasto in me. Poi, è scoccata la scintilla durante un viaggio in Spagna, quando ho incontrato una donna che mi ha raccontato della sua vita a Parigi negli anni ’60. L’idea di girare un film su questa comunità di domestiche spagnole mi ha conquistato. Ho scritto una prima versione su un adolescente trascurato dai genitori, che trova rifugio tra la domestiche del palazzo; poi ho cambiato punto di vista, ho immaginato che fosse il padre a scoprire questo universo al sesto piano.
Abbiamo ambientato la nostra storia nel 1962, alla fine della guerra di Algeria, nella Francia di De Gaulle: si tratta di un’epoca recente, eppure sembra un’altra era, un altro mondo...
Intervista Philippe Le Guay: Domanda 2Il suo film non è solo una storia d’amore, è soprattutto un viaggio verso un altro universo...
La trappola da evitare a ogni costo era di cadere in una storia in cui il datore di lavoro si innamora della sua domestica. Per questo ho voluto che non ci fosse una donna sola ma molte. Jean-Louis Joubert scopre una comunità, un’altra cultura che fa irruzione nella sua vita. È turbato, preoccupato e infine sedotto... il film propone la scoperta di un mondo sconosciuto eppure vicino. Adoro l’idea di vivere accanto alla stranezza. Basta un niente per uscire dal proprio mondo e scoprirne altri che si accompagnano, si sfiorano senza incrociarsi. È il concetto di “quarta dimensione” che appartiene alla fantascienza, ma che qui è trattato senza passare dalla fantasia.
Intervista Philippe Le Guay: Domanda 3Dove ha trovato il materiale per descrivere l’universo della famiglia Joubert?
Io stesso provengo da un ambiente borghese. I miei genitori vivevano nel 17° arrondissement di Parigi, mio padre faceva l’agente di cambio, e io sono stato mandato in collegio come i figli dei Joubert. Tuttavia, le somiglianze finiscono qui, il film non ha nient’altro di autobiografico.
Ma il caso ha voluto che facessimo le riprese in un palazzo abbandonato che una volta ospitava gli uffici delle imposte, e che si trova a 30 metri dalla scuola che frequentavo da bambino. Abbiamo ricreato in quel palazzo l’appartamento dei Joubert, la scala di servizio e le piccole stanze nel sottotetto. Lassù, sono stati abbattuti i muri, rimpiazzati da sfondi per permettere la logistica delle riprese, dato che una cinepresa riusciva a malapena a entrare. Ma lo spazio delle stanze è assolutamente autentico.
Intervista Philippe Le Guay: Domanda 4Quando ha pensato a Fabrice Luchini per interpretare il protagonista?
Dico spesso che ho rimpiazzato l’adolescente del primo progetto con Fabrice Luchini. L’energia di Fabrice è nota, sappiamo tutti come galvanizza un palcoscenico o un set. Ha una comprensione prodigiosa del testo, una padronanza della parola, ma ha anche una formidabile capacità di tenersi in disparte. Adora gli autori del risentimento, cita testi disperati come quelli di Cioran o Thomas Bernhard, ma nel suo profondo non è affatto disincantato. Basta vedere il suo sguardo per capire quanto sia innocente. L’ispirazione per il film era lì, nel suo sguardo meravigliato che si posava su queste donne. Durante le riprese, ho capito che Jean-Louis è un uomo che non è mai stato amato. Quindi le donne del sesto piano lo prendono tra le loro braccia, lo baciano, si prendono cura di lui. È un bambino che ha trovato qualcuno che lo protegge, delle madri adottive. Per me il film non è tanto una critica della borghesia, quanto una scoperta emotiva e affettiva.
In quell’ambiente, all’epoca, gli affetti sono gelidi, è quasi osceno parlare di sentimenti. I componenti della famiglia convivono con un distacco incredibile, nessuno si bacia. Sin dall’inizio, Fabrice mi ha fatto notare che Jean-Louis Joubert era un personaggio vuoto, che si riempiva di ciò che riceveva. Per lui è abbastanza insolito come personaggio, che abitualmente invece dà molto...
Intervista Philippe Le Guay: Domanda 5Che struttura ha dato alla sua comunità spagnola?
Non volevo che si trattasse di un’entità corale, ma di una galleria di ritratti molto individuali. Prima ho pensato a una donna che fosse repubblicana, arrivata in Francia per fuggire dal regime di Franco. Poi ho voluto l’opposto, una bigotta, super-religiosa, che va in chiesa tutti i giorni e non fa che litigare con la repubblicana. A tenerle a bada, c’è senza dubbio un misto delle due, il personaggio interpretato da Carmen Maura, che calma le donne e mitiga i conflitti. C’è Teresa che vuole un marito francese, e ovviamente c’è Maria, la nipote di Concepciòn, che viene in Francia per cercare un lavoro e intorno alla quale ruota tutta la storia...
Intervista Philippe Le Guay: Domanda 6Il suo film ha del fiabesco...
Il film si basa su un’utopia: si vuole credere che le classi sociali siano porose, e che il “borghese” possa trasferirsi al sesto piano, con le “domestiche”. Ma questa utopia viene respinta da entrambi i lati, dai borghesi che lo considerano uno scandalo, ma anche dalle domestiche. Carmen, interpretata da Lola Dueñas, crede nella lotta delle classi, va a chiedere al signor Joubert di restare al suo posto. Concepciòn, invece, farà tutto il possibile per impedire la relazione tra Maria e Jean-Louis. Anche se non lo dice mai, Concepciòn respinge con forza questa utopia d’amore. Crede nel principio del realismo. È lei che spinge Maria a partire, svelandole dove viene cresciuto suo figlio. E alla fine, quando Jean-Louis divorzia, lei preferisce mentirgli piuttosto che dirgli dove si trova Maria. Incarna un principio di realismo arcaico che contraddice la favola.
Intervista Philippe Le Guay: Domanda 7Cos’ha imparato da questo progetto?
Ho sempre amato gli attori, ma ho scoperto la gioia di mettere insieme attori francesi e stranieri. In questo modo si spostano tutti i punti di riferimento, cambiano le prospettive, è tutto fresco e nuovo. Inoltre questa storia esprime un sentimento europeo, che mi tocca molto. L’Europa si è formata durante gli anni ’60, molto prima che l’Unione Europea diventasse una realtà politica. Gli spagnoli erano presenti, tra di noi, agli angoli delle strade, nei parchi... Tutto questo fa parte della storia comune dei nostri due paesi. Nello stesso modo in cui il personaggio di Jean-Louis scopre gli altri nel film, credo che il cinema sia stato inventato per mettere in scena un apprendimento. Filmiamo degli esseri umani per acquisire parte di loro, per arricchirci di qualcosa che non proviene da noi stessi.
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Le donne del 6° piano
di Philippe Le Guay
Commedia, 2011
100 min.
Film diretti:
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2011  Le donne del 6° piano
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Philippe Le Guay
Leggi l'intervista a Philippe Le Guay per “Molière in bicicletta