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La Sacher Distribuzione porta nelle sale italiane venerdì 2 dicembre “Le nevi del Kilimangiaro”, film drammatico del francese Robert Guédiguian ispirato a un poema di Victor Hugo (La povera gente), senza nessi con l'omonimo film di Henry King datato 1952. Michel e Marie-Claire, sessantenni middleclass, vivono con serenità la difficoltà della vita, forti delle loro convinzioni; i loro ideali saranno però messi alla prova da spiacevoli circostanze. L'ufficio stampa del film ha diffuso questa lunga intervista al regista. |
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Come le è venuta l’idea di utilizzare la poesia "Les pauvres gens" di Victor Hugo come punto di partenza del film? |
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Nel 2005, mentre scrivevo un appello per convincere gli elettori a votare contro la Costituzione Europea, feci riferimento alla poesia "Les pauvres gens" di Victor Hugo per descrivere in termini un po’ generici “le nuove forme di classe operaia”. In quell’occasione, rilessi il poema. La fine della poesia, ovvero il momento in cui il povero pescatore decide di adottare i figli della vicina morta dicendo “avevamo cinque figli, ora saranno sette” e quando scopre che la moglie, avendo preso per prima l’iniziativa, ha già portato i bambini a casa, è assolutamente struggente. Tanta bontà, tanta generosità è esemplare. E poi, c’è questa convergenza, quel gesto d’amore che unisce i due personaggi, l’uomo e la donna, ugualmente generosi. Ho subito pensato che sarebbe stata una fine stupenda per un film. Dovevo solo trovare un percorso contemporaneo per giungere a questo finale.
L’idea era quella di fare un film contemporaneo, a Marsiglia, nel quartiere dove sono nato, l’Estaque, e con la “povera gente” che vive lì... Ci sono ritornato e ho cominciato a guardare il mondo e a vedere com’è adesso, per trarne, forse, due o tre verità universali. |
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Questo è un film che mette alla prova la realtà della parola “insieme”? |
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Per me, uno dei problemi più seri della società odierna è il fatto che non esista più una coscienza di classe. Nel senso che non si può nemmeno più parlare di “classe operaia”, è per questo che parlo di “povera gente”. Eppure, la coscienza di far parte della “povera gente” non esiste. E non esistono più, in Francia, quelle grosse realtà industriali che ancora c’erano negli anni 70 e 80, in cui tremila operai uscivano insieme da una stessa fabbrica. La coscienza di classe a quei tempi non era soltanto possibile, era visibile; era incarnata da quelle migliaia di persone in tuta blu. E, molto naturalmente, quelle persone erano insieme, avevano interessi comuni anche quando avevano identità diverse. Non esistono due tipi di popolazione: uno autoctono, stipendiato, sindacalizzato, che vive nella casetta bi-familiare e l’altro immigrato disoccupato, delinquente, che sta in periferia. La politica e il cinema possono contribuire a smascherare quest’impostura intellettuale. Io non cambierò mai idea in proposito: per me questa rimane la questione più importante. |
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Marie-Claire e Michel sono genitori, persino nonni! |
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Prima o poi doveva succedere che iniziassi a lavorare su due generazioni e non più su una. Mentre scrivevo, con Jean-Louis Milesi, avevamo deciso che le due coppie centrali, che dovevano essere di mezza età, sarebbero state circondate da personaggi molto giovani. Volevo che il contrasto tra la generazione di Marie-Claire e Michel e quella successiva non fosse solo rappresentato dal personaggio che li aggredisce. Lo scontro, perciò, loro lo vivono anche con i propri figli che non capiscono le scelte dei genitori. Florence e Gilles si sono ritirati nella cerchia della famiglia e degli amici, il che costituisce per me una regressione. Non vogliono mettere a repentaglio la loro piccola vita tranquilla. Non li biasimo per questo, hanno anche loro dei problemi, Gilles ha perso il lavoro al cantiere navale, anche se poi ne ha trovato un altro, e il marito di Florence deve andare a lavorare a Bordeaux. Deve sempre viaggiare per lavoro, il che rende la vita quotidiana più complicata. Diciamo che hanno perso la “capacità di indignarsi”. Io capisco il timore di lasciare il tepore di casa... perché si non si ha voglia di patire il freddo, è legittimo. Ma nella storia che raccontiamo, questo modo di essere può avere conseguenze gravi, e saranno i genitori alla fine a impartire loro una lezione di coraggio. |
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Benché l’aggressore sia della stessa generazione di Florence e Gilles, deve combattere con un’altra realtà. |
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Per quanto riguarda le giovani generazioni che fanno parte dei “nuovi poveri”, volevamo parlare di coloro che, colpiti in pieno dalla povertà, vivono un senso di rivolta più grande rispetto ai nostri protagonisti che hanno trovato un fragile equilibrio – solo perché le circostanze glielo hanno permesso – ritirandosi in una forma di solidarietà all’interno del gruppo più piccolo che esista: la famiglia.
Christophe invece, passa dall’altra parte perché non ha scelta, poiché scopriamo che ha pagato l’affitto con i soldi che ha rubato, e che la sua famiglia consiste nei due fratelli che sta tirando su da solo. |
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Per Marie-Claire e Michel, l’aggressione di cui sono vittime è come un elettrochoc. |
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Vengono presi letteralmente a botte, ma ricevono anche una botta morale. Quello che gli capita in quel momento è per loro assolutamente impensabile. Vengono aggrediti da uno di loro, e questo li distrugge intellettualmente rispetto a ciò per cui hanno sempre lottato. È una cosa
insopportabile per loro che sono riusciti a conquistare quel poco che si riesce, o meglio si riusciva, a conquistare alla fine di una vita di lavoro. Tutti gli esperti politici e sindacali hanno rilevato questo fatto: siamo di fronte a un arretramento. È la prima volta nella storia che siamo confrontati a una generazione che rischia di vivere peggio dei propri genitori. |
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Marie-Claire e Michel si rendono conto che ci sono delle persone più povere di loro e che si è sempre ricchi rispetto a qualcun altro. E questo li porta a rivisitare la nozione di “coraggio” contenuta nel discorso di Jaurès citato da Michel. |
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Il film è un crocevia fra Victor Hugo e Jean Jaurès. Credo che "Les Misérables" sia il primo libro serio che abbia letto in vita mia. Sono passato direttamente dai gialli per bambini a Victor Hugo, e appena mi sono impegnato in politica, Jaurès mi ha folgorato, attraverso questo testo tratto da un discorso ai giovani di Albi, scritto meravigliosamente e rimarchevole sotto ogni punto di vista. In questo discorso, Jaurès definisce il coraggio in vari modi diversi, con la figura retorica che consiste nel ripetere all’inizio di ogni frase: “il coraggio è...” E lui sottolinea il fatto che il coraggio significa anche farsi carico della propria vita a livello individuale, insistendo sul legame tra la vita individuale e quella collettiva, l’individuo e la società. Il coraggio non si esplica solo nell’ambito della collettività: il coraggio c’è anche nella vita quotidiana di ognuno, nel modo in cui la si affronta, la si mette in pratica, nella propria morale. Marie-Claire e Michel si dicono che devono fare qualcosa. Hanno passato una vita a fare battaglie collettive, ma ora si accorgono che non basta più. |
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Quando Christophe sottolinea l’ingiustizia del sorteggio, Michel, da vecchio sindacalista, è molto turbato. |
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E' più che turbato: Michel pensa che “non ha tutti i torti”, è quindi che ha ragione. E questo sconvolge la strategia da lui pensata per quella lotta e le scelte fatte dai membri del sindacato. La proposta di Christophe, che consiste nel prendere in esame la situazione di ciascuno, è giusta. Senza darlo a vedere, questo giovane è un libertario, ha praticato il comunismo senza saperlo. |
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Riguardo alla vendetta, il bisogno di punire il cattivo, la reazione di Raoul è molto violenta, eppure tremendamente diffusa, non è così? |
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E le persone che reagiscono in questo modo non sono necessariamente di estrema destra. È una cosa viscerale e indipendente dalla propria collocazione politica. E per me, è un peccato, e d’altronde è quello che pensa anche Michel. Se vogliamo cambiare il mondo, bisogna intervenire su tutti i temi: il nucleare, la condizione femminile, la sessualità, le forme di punizione nella società... Insomma, tutte le questioni che non sembrano avere a che fare col sociale, con l’economia, con la politica e che pure c’entrano. |
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Durante le riprese, il film si intitolava "Les pauvres gens", e alla fine ha scelto di intitolarlo "Le nevi del Kilimangiaro". Perché? |
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"Les pauvres gens" e il riferimento a Victor Hugo arrivano alla fine, su un cartello che precede i titoli di coda, il che è più giusto e più forte che se lo avessimo messo all’inizio. "Le nevi del Kilimangiaro" è un titolo che suggerisce il vasto mondo, mentre in realtà ci troviamo a l’Estaque. Ed è anche la canzone che cantano i nipoti di Marie-Claire e Michel al loro anniversario di matrimonio. L’idea del regalo di gruppo di un viaggio per la Tanzania è rappresentata da questa canzone. Ho sempre amato la musica popolare, ci consente di datare i momenti piccoli e grandi della vita molto meglio del carbonio 14. E ci tengo a dire che ho visto Pascal Danel cantare dal vivo questa canzone al Gymnase di Marsiglia negli 60, in apertura del concerto di Salvatore Adamo! Marie-Claire e Michel sono della generazione di Pascal Danel... e anche della generazione di Joe Cocker, di cui sentiamo nel film l’interpretazione di "Many rivers to cross". |
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Rifacendosi a André Malraux, lei ha affermato un giorno che “un film popolare è quello che rivela alla gente la grandezza che c’è in loro”. |
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E ne sono convinto più che mai. Per me, queste persone sono la speranza. Possiamo chiamarli “Santi” o “Giusti”, comunque queste persone ci sono, esistono. La speranza risiede nella riconciliazione di tutta la “povera gente”. E ovviamente, io immagino, come epilogo del mio film, che quando uscirà di prigione, Christophe ritroverà Michel, Marie-Claire, Raoul e Denise e che ricominceranno a combattere. Insieme. |
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