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01 Distribution porta nelle sale italiane venerdì 15 giugno "Le paludi della morte", secondo film (a dieci anni dal primo) di Ami Canaan Mann, figlia di un monumento del cinema americano quale Michael Mann. Il film parte dal dato impressionante di vittime di omicidio ritrovate nei campi vicini Texas City, oltre sessanta. Nei panni dei detective protagonisti Sam Worthington e Jeffrey Dean Morgan. L'ufficio stampa del film ha diffuso la seguente breve intervista nella quale la poco più che quarantenne Ami spiega le sue scelte. |
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Cosa ha fatto per prepararsi? |
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Prepararmi a girare questo film ha significato fare ricerche sui tanti aspetti della storia. Ho passato parecchio tempo con i detective della omicidi della LASD; sono andata all’obitorio di Los Angeles; sono stata a Texas City e nella prigione di Angola in Louisiana. Sam, Jeffrey e Jessica hanno fatto lo stesso. Chloë, James e Sheryl hanno trascorso del tempo in un centro di recupero per tossicodipendenti, mentre Jason Clarke ha voluto incontrare un uomo condannato per crimini sessuali per poter comprendere cosa lo aveva spinto a compiere simili atti.
Nonostante i crimini mostrati nel film siano un mix di finzione ispirato a vari aspetti degli oltre cinquanta casi dei Texas Killing Field, tutti noi eravamo consapevoli di raccontare una storia profondamente legata a eventi reali e drammatici. Mi è sembrato quindi fondamentale che sia io che gli attori ci avvicinassimo con rispetto a questa realtà cercando di comprenderla il più possibile: se siamo riusciti a raccontare la storia dei Texas Killing Fields in modo autentico, forse riusciremo a risvegliare l’interesse per i tanti casi irrisolti. |
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Ci può spiegare le tecniche adottate per ritrarre alcuni personaggi in un certo modo? Per esempio, non sappiamo se provare compassione o meno per Lucie. Invece, Anne è decisamente troppo matura per la sua età. |
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Sono stata veramente fortunata a poter lavorare con un gruppo di attori davvero intelligenti e di grande talento: si meritano tutti grandi riconoscimenti per la capacità di rendere credibili, attraverso le sfumature, i personaggi che interpretano. Io credo che Lucie fosse, a un certo punto della sua vita, una bella ragazza con grandi ambizioni e speranze. Sheryl ha svolto un lavoro incredibile nel lasciarci intravedere chi fosse quella ragazza, anche quando sullo schermo compare la donna e la madre che è diventata.
E’ vero, Anne è troppo matura per la sua età, ma non è assolutamente cinica, come Chloë ben rende nella sua interpretazione. Non si hai mai la sensazione che Anne sia consapevole di quanto sia brutta la sua situazione: se così non fosse non potremmo provare per lei la stessa compassione . |
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C’è qualcosa che le fa provare rispetto o empatia per le persone ritratte in questo film? |
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Certo, provo rispetto e una profonda empatia nei confronti di tutti i personaggi. Nessuno di noi è completamente buono o cattivo. Nella vita di tutti i giorni facciamo delle scelte perché riteniamo che siano quelle giuste. La domanda che mi pongo sempre è: perché le persone fanno alcune scelte piuttosto che altre? Come ci arrivano? Quali sono i loro criteri? La mia idea è che ponendosi queste domande si possono raccontare delle storie interessanti. |
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Il paesaggio gioca un ruolo importante ne "Le Paludi della Morte". Può spiegarci come lo ha sfruttato per raccontare la storia? |
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I veri Killing Fileds sono una vasta porzione di territorio poco fuori da Texas City, dove sono stati trovati i cadaveri, e sono comunemente noti come Texas Killing Fields. Una delle cose che mi ha colpito quando siamo andati in alcuni dei luoghi dove furono commessi questi crimini, è che da lì si vedeva una serie di raffinerie ed erano solo pochi chilometri fuori città. Questi posti mi hanno fatto pensare a una casa infestata: un luogo inquietante a due passi da tutto ciò che ci è familiare. Accadono cose strane e non sappiamo il perché. Siamo curiosi, ma anche spaventati. Quando assieme a mia sorella Aran Mann, la nostra scenografa, abbiamo iniziato a fare sopraluoghi per la scelta delle location in Louisiana, ci siamo imbattute in queste ampie zone contrassegnate da alberi strani e scheletrici, meravigliosi e inquietanti. Ci è stato detto che era quello che rimaneva di una folta foresta: a causa del riscaldamento globale il livello del mare si era alzato e l’acqua salata era penetrata nel terreno. Sono rimasti soltanto questi alberi scheletrici che colpiscono per la loro tragica bellezza e che sono diventati la cifra distintiva dei Killing Fields. |
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Quali sono le sue influenze cinematografiche e come l’hanno aiutata a realizzare questo film? |
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L’ispirazione maggiore è arrivata dagli eventi reali che hanno ispirato la storia di Don: le vittime, la città, i colpevoli e gli stessi detective.
Tutti noi siamo rimasti colpiti da questi due uomini così diversi e dalla ragazzina che li attira nel vortice della storia. E credo anche dalla possibilità di ridare voce, in maniera misteriosa, alle persone a cui era stata tolta. |
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Che messaggio vorrebbe che le persone cogliessero vedendo questo film? |
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Fate attenzione. |
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Ci può parlare della sua carriera nel mondo del cinema e cosa l’ha spinta a diventare regista? |
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Sono cresciuta a Dayton, in Indiana, dove il cinema e i libri non rappresentavano un punto di riferimento, se non per me e mia madre. Poi c’era la città, i vicini e le loro storie, le cose che noi ragazzini abbiamo visto, sentito e di cui eravamo a conoscenza, perché soltanto i ragazzi sanno alcune cose. C’erano delle situazioni belle o terribili che condividevamo in silenzio. Sono stata coinvolta per la prima volta nel lavoro di mio padre grazie alla sua serie televisiva “Crime Story”. Lui all’epoca stava girando “L’ultimo dei Mohicani” e io collaboravo come assistente alla produzione nel reparto artistico. Avevo sedici anni e venivo pagata 40 dollari a settimana, che all’epoca mi sembravano una fortuna. L’esperienza mi ha cambiata e mi sono innamorata di questo mondo. In sostanza, crescere in Indiana mi ha ispirato e fatto venire voglia di raccontare delle storie. Il fatto di lavorare con mio padre ai suoi film e alle serie televisive mi ha portato a riflettere sul modo in cui potevano essere raccontate queste storie. |
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