Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Intervista: Paolo Franchi

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Preceduto dai premi e dalle polemiche suscitate alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, arriva in sala distribuito da Officine Ubu “E la chiamano estate”, opera terza di Paolo Franchi. Il "matrimonio bianco" tra Dino (Jean-Marc Barr) e Anna (Isabella Ferrari, premiata con il riconoscimento come Miglior Attrice) è un'occasione per riflettere sull'incomunicabilità di coppia e la pulsione verso l'amore e la morte. Il film promette di dividere il pubblico, come già ha diviso la critica (negativa all'unanimità) dalla giuria.
Intervista Paolo Franchi: Domanda 1Al centro del film c'è il rapporto tra Dino e Anna, rapporto assoluto ma anche incompleto. Come si è avvicinato a questa tematica?
Anna e Dino e la loro “estate”. Si può chiamare “amore” questo? Un amore che rinuncia al sesso dunque alla sua realizzazione nel piacere e nel soddisfacimento dell’impulso? Dino il protagonista “ama” Anna ma ha paura di perderla, di deluderla, di farle del male. E allora “non può” desiderarla. Forse Anna è bella, troppo bella per lui… Dino pensa di non meritarsi niente, forse si odia, forse è proprio lui il peggior nemico di se stesso…
Attraverso alcuni momenti narrativi della coppia vissuti in una “simbolica” stanza da letto, parole pronunciate da amici ed estranei, scene iperrealiste, a tratti quasi rubate, brevi ricordi che affiorano insieme a delle fotografie, immagini di un telefonino con cui Dino riprende le sue notti, si ricostruisce man mano un puzzle
doloroso, quasi un rebus, di questo uomo imprigionato nella sua “coscienza infelice”, come l’ha definita Sartre. Un mosaico fatto di tante tessere, che appartengono al passato, al presente,
al futuro e che si mescolano, rivelando il significato ultimo solo all’ultimo tassello, all’ultimo fotogramma.
Intervista Paolo Franchi: Domanda 2Che tipo di rapporto c'è, veramente, tra i protagonisti? Il film racconta effettivamente un amore "diverso"?
La scissione che Dino attua tra eros e sentimento è spietata e totale e non gli lascia alcuna via di scampo, se non condurre una doppia vita facendo compulsivamente sesso con prostitute e coppie di scambisti e ritornando a casa con un grande vuoto dentro e una spina sempre più profonda nel suo cuore. E Anna, la sua “amata”, come reagisce di fronte a tutto questo? Perché non si ribella, perché non lo lascia? Può sembrare assurdo ma questo vuoto, questa sofferenza di Dino la fa sentire profondamente amata. La sua insostituibile chimera. Si sente appagata, nonostante la frustrazione dell’assenza del rapporto fisico. Anna ha sempre rifiutato gli schemi, le prigioni, anche quelle dorate di una famiglia rassicurante o quella di un ex compagno che, con il suo amore soffocante, non le lasciava spazio di respirare. Di immaginare… Perché forse, in questa storia, l’elemento della immaginazione assume un ruolo importante. E’ il punto di partenza e di arrivo di questo “amore” che rimane sempre “potenziale”. Rimane un’astrazione. Una speranza. Un sogno. Il sogno. O forse una fuga dalla realtà che delude e disattende le aspettative, troppo spesso.
E’ una coppia profondamente romantica quella di Anna e Dino. Romantica fino allo struggimento. Qualcuno definirebbe quest’uomo un borderline, un nevrotico con un grande senso di colpa che non gli permette nemmeno di sfiorare la felicità, la completezza, l’appagamento. Le sue nottitrasgressive non fanno che inaridirlo, trascinarlo sempre più giù, nel fondo di un abisso.
Intervista Paolo Franchi: Domanda 3Dino è intrappolato nella ripetizione di atti sessuali con sconosciuti. E' un modo di autodistruggersi del personaggio?
Senza amore il sesso rischia di diventare un atto meccanico. Ossessivo. Compulsivo. Questo Dino lo sa, perché dietro la sua nevrosi, o perversione?, c’è un eroe tragico. La sua sensibilità gli impedisce di diventare indifferente, come tanti, troppi uomini, ma non gli permette nemmeno di chiedere aiuto a nessuno. E allora
ecco che Dino preferisce esercitare su di sé tutta la violenza e il dolore che cova dentro, allontanandosi dal suo “grande amore” che si dissolve nell’aria come un battito d’ali o un’estate troppo breve…
Intervista Paolo Franchi: Domanda 4Stilisticamente, il film ha un approccio molto "sperimentale" al suo soggetto.
Per quanto concerne l’aspetto stilistico, sento in questa storia molto particolare la necessità di distaccarmi da un certo impianto classico. L’andamento narrativo frammentato mi è parso il più congeniale per raccontare l’inquietudine, la drammaticità di questo amore. La molteplicità delle forme si presta perfettamente ad un progetto artistico come questo. Brevi monologhi in primo piano che rinviano a una seduta psicoanalitica e ad un appello allo spettatore a sospendere il giudizio. Immagini che alludono ai sogni, ai ricordi, al presente, scene reiterate che nella loro ripetizione di bergsoniana memoria acquisiscono il loro significato ultimo.
Ma tutto questo, tengo molto a sottolinearlo, in una compagine di grande semplicità e fruibilità, come quando ci si trova di fronte a un vecchio album di fotografie, un po’ disordinato, dove si ritrovano vecchie foto in bianco e nero, polaroid sbiadite mischiate a posati più eleganti e recenti. E noi rimaniamo lì, increduli, con un nodo alla gola davanti alla vita che ci sta passando accanto…
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E la chiamano estate
di Paolo Franchi
Drammatico, 2012
97 min.
Film diretti:
2012  E la chiamano estate
2006  Nessuna qualità agli eroi
2003  La spettatrice
Festival di Roma 2012
Festival Internazionale del Film, dal 9 al 17 novembre