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La sezione Prospettive Italia del settimo Festival di Roma propone l'esordio dietro alla macchina da presa di un attore e figlio d'arte, Alessandro Gassman: "Razza bastarda", che sarà distribuito in inverno da Eagle Pictures, è la storia di un rapporto tra padre (spacciatore albanese, interpretato dallo stesso Gassman) e figlio (che vorrebbe essere considerato italiano e lavorare nel giro del padre), nel contesto della periferia romana, valorizzato da un bel bianco e nero. In conferenza stampa il neoregista racconta il suo film. |
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Da dove nasce questo film? |
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E' un lungo viaggio: la storia nasce nel 1984 a Off Brodway, con De Niro che lo mette in scena per sei settimane; l'ho voluto leggere per capire per quale motivo un genio del cinema portasse avanti il testo di uno sconosciuto. Parla del rapporto irrisolto tra un cubano e il figlio, nato nel Bronx. L'ho trasferito a teatro, protagonista romeno nel quartiere Casilino, simile al Bronx, e ha funzionato benissimo per tre anni. Quando c'è stata la possibilità di farne un film ho chiamato Vittorio Moroni: il plot centrale è rimasto il rapporto tra padre e figlio, ma siamo voluti entrare in mondi che a teatro puoi soltanto descrivere e i personaggi da 7 sono diventati 40. |
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Difficoltà nella realizzazione? |
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In tre anni a teatro abbiamo avuto 280 mila spettatori: pensavo da subito che il cinema fosse il mezzo più giusto per raccontare questa storia. Il personaggio era dentro di me visceralmente, sapevo che non avrei dovuto pensare a me stesso e questo mi ha dato la forza di inserire anche attori che non avevano lavorato alla rappresentazione teatrale.
Dopo una settimana mi sembrava talmente naturale come lavoro che mi sono preoccupato...
Visto finito, il film si avvicina moltissimo a come l'avevo immaginato prima di iniziare. |
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Sulla scelta stilistica del bianco e nero: |
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Ho sempre immaginato questa storia in bianco e nere, avrei voluto farlo in bianco e nero anche a teatro, dove usammo un tulle nero davanti al palco, causando una lieve difficoltà visiva che rendeva la realtà più interessante.
La capacità di Federico Schlatter con la Red Epic mi garantiva la possibilità di descrivere un mondo che immaginavo senza colori, non elegante. Epoi abbiamo dovuto girare in primavera, con il sole, mentre io volevo un'atmosfera più invernale! |
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Quanto c'è di pasoliniano in questa periferia? |
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Pasolini ci manca tantissimo, ho debuttato a teatro con lui; se fosse vivo ci potrebbe regalare storie meravigliose, l'Italia sta cambiando velocemente.
Onestamente però non ci ho pensato, i miei riferimenti sono stati semmai “L'odio” di Kassovitz, cui “Razza bastarda” è un cugino alla lontana. La Francia era nelle condizioni in cui è l'Italia adesso. Alcuni film di Larry Clark hanno ispirato il mio lavoro di regista anche a teatro. |
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Latina, città più nera d'Italia, è una scelta casuale? |
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Latina è stata molto utile: mi interessava che desse una sensazione multietnica, molto presente nella città; è tutta periferia, riprendibile da ogni parte; non ha orizzonti e volevo un orizzonte basso; ha luoghi abbastanza degradati, cinematograficamente e fotograficamente molto utili alla narrazione. |
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