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Arriva nelle sale italiane “In Darkness” di Agnieszka Holland, tratto da un romanzo di Robert Marshall e candidato agli Oscar 2013 come Miglior Film Straniero. La pellicola racconta la difficile convivenza, durata oltre un anno, nelle fogne di Leopoli tra alcuni ricercati ebrei e l'uomo che li auta - non senza vantaggi personali - a nascondersi. La Holland, alla sua terza candidatura agli Oscar, racconta alla stampa le motivazioni che l'hanno spinta a confrontarsi con questa storia. |
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L'Olocausto è stato il vero protagonista di un gran numero di pellicole negli ultimi anni. Oltre al dovere di conservare la memoria storia, cosa spinge tanti autori ad affrontare questo argomento? |
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Il 2009 ha portato una quantità di storie nuove sull’Olocausto attraverso libri e film. Viene da chiedersi se non sia stato detto tutto sull’argomento. Eppure, secondo me, il mistero principale non è stato ancora rivelato e nemmeno analizzato completamente. Com’è stato possibile questo crimine, l’eco del quale risuona ancora in diverse parti del mondo, dal Ruanda alla Bosnia? Dove si trovava l’Uomo in quel periodo critico? Dov’era Dio? Tali vicende e azioni rappresentano l’eccezione nella storia umana o rivelano piuttosto una verità oscura, intima sulla nostra natura? |
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Il protagonista del film, Socha, non è né limpido né onesto, tuttavia le sue azioni salvano molte vite ... |
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Esaminare le molte storie di questo periodo mostra un’incredibile varietà di destini e vicissitudini, spiegate in un ricco tessuto di trame e drammi, con personaggi che affrontano scelte morali e umane difficili dando prova sia del meglio che del peggio della nostra natura.
Tra le varie storie c’è quella di Leopold Socha che nasconde il gruppo di ebrei del ghetto nelle fognature di Lvov. Il protagonista è ambiguo: apparentemente un brav’uomo di famiglia, però anche un ladruncolo e un truffatore, religioso e immorale allo stesso tempo, forse solo un uomo qualunque, che vive tempi terribili. Nel corso della narrazione, Socha cresce in diversi modi come essere umano. Non c’è nulla di semplice o sentimentale nel suo percorso. È questa la cosa affascinante, il motivo per cui facciamo questo viaggio insieme con lui. |
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E' l'ambiguità della natura umana il vero tema del film? |
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Le persone che Leopold salva non sono angeli. La paura, le condizioni terribili, l’innato egoismo le rendono complesse e difficili, a tratti sono esseri umani insopportabili, ma sono reali e vivi, e le imperfezioni avvalorano la loro rivendicazione per il diritto alla vita più di quanto farebbe una qualsiasi versione idealizzata delle vittime. La storia mi è piaciuta da subito, ne ho apprezzato il potenziale, i personaggi e la sceneggiatura. |
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Qual è stata la sfida più grande che ha affrontato durante le riprese? |
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La sfida più grande, ma anche la più eccitante per me come regista era l’oscurità. Vivono al buio, nel fetore e nell’umidità, in isolamento per oltre un anno. Sapevamo di dover esplorare il mondo sotterrano in una maniera molto speciale, realistica, umana. Volevamo che il pubblico avesse una percezione sensoriale dello stare lì, per mantenere viva la tensione, man mano che lo spettatore si concentra sulla storia. La dinamica del film è costruita alternando il mondo dei due leader, Socha e Mundek. I due universi si uniscono e diventano uno, il mondo nel quale devono collaborare per sopravvivere |
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