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Avranas presenta nelle sale italiane il suo "Miss Violence" dopo i successi riscontrati al Festival di Venezia: Leone d'Argento al film e Coppa Volpi al Miglior Attore (Themis Panou). Il film, freddo e rigoroso, racconta gli orrori che si celano dietro un'apparentemente rispettabile famiglia borghese greca. "Miss Violence" è il secondo lungometraggio di Alexandros Avranas, una riflessione sul potere e la violenza del silenzio. Il regista classe 1977 racconta alla stampa il suo lavoro. |
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Cominciamo dal titolo: che cosa si nasconde dietro "Miss Violence"? |
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Questa è una storia davvero curiosa: mentre stavamo cercando un titolo, ci siamo resi conto che se da una parte, quando è precisa, la lingua greca è magniloquente e complessa, dall’altra può risultare povera e manchevole, quando si fa perifrastica. Così abbiamo optato per questo gioco di parole: "Miss" (dal verbo inglese to miss = perdere), e la parola "Violence", che bene o male esprime un sentimento che ha a che fare con il film, senza però svelare troppo sul tema. Abbiamo giocato così con il doppio senso fra "Miss Violence" = la signorina della violenza, e "I miss Violence" = mi manca la violenza o la mancata violenza, se preferite. |
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Nel suo film parldella crisi dei valori morali, in un periodo storico che vede il dilagare della crisi economica che ha colpito la Grecia, così
come l’Europa. Crede che tutto sia collegato? |
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Assolutamente sì, la crisi economica porta alla crisi dei valori morali. Un crollo che investe non solo la Grecia ma tutta l’Europa, tanto che oggi ha più senso parlare di crisi europea. Ad ogni modo, non è di questo che volevo parlare nel mio film: la crisi economica è un fenomeno degli ultimi tre anni, forse è troppo presto per affrontarlo nel cinema. |
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Che cosa significa per lei l’idea della famiglia? |
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Ha detto molto bene Pasolini: "La famiglia è una perfetta organizzazione criminale". Per quanto mi riguarda, credo che il nucleo familiare rappresenti un’accurata micrografia della nostra società, al cui interno le persone crescono e imparano il significato delle cose che le circondano. Cosi, quando entrano a far parte del tessuto sociale non riescono a reagire o a ribellarsi perché hanno imparato in casa a vivere in quel modo. Se ci fate caso, infatti, la mia famiglia in “Miss Violence” trova tutto quel che le sta succedendo perfettamente normale. |
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Miss Violence è un film fortemente minimalista, ma allo stesso tempo nasconde un importante formalismo senza scadere mai nel barocco. Come ha lavorato sotto questo punto di vista? |
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Mentre scrivevo la sceneggiatura, sapevo esattamente che tipo di film avrei girato. Ma quando ho cominciato e prima di finire il decoupage, cioè la suddivisione della sceneggiatura in inquadrature, mi sono ritrovato a cercare di capire come le avrei dovute girare per ottenere quel tipo di risultato: è stato allora che ho capito che la sottrazione era la forma giusta per rendere la storia quel racconto importante che avevo in mente dal principio. D’altra parte, l’arte della sottrazione mi ha permesso di nascondere alcuni aspetti del mio racconto e di girarlo come volevo. In altre parole, sottraendo sono diventato anche un po’ formalista: è la storia stessa che me l’ha imposto. |
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Il film inizia con il suicidio di una ragazzina, una scena estremamente drammatica. Non ha pensato che sarebbe stato rischioso per lei partire con qualcosa di tanto forte? |
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Estremamente rischioso. L’errore sarebbe stato però partire con un crescendo e diventare schiavo di quel crescendo, ovvero cercare a tutti i costi di mantenere la tensione sempre alta. Mentre io sono sì partito con un crescendo, ma dopo aver incuriosito e intrigato il pubblico. Ho voluto avvicinare lo spettatore, lentamente, alle psicologie dei miei personaggi e sviluppare la storia e i punti interrogativi che mi sono posto con la prima scena. |
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Nel cinema americano c’è una sorta di regola non scritta: i bambini non devono morire. Sono pochissimi i registi che l’hanno violata. |
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C’è una grande differenza tra il cinema americano e il cinema europeo. Il cinema europeo conosce queste regole, le rispetta, ma poi le viola tranquillamente. |
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Crede ad un cinema "europeo"? |
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Assolutamente sì. Credo che abbiamo già imboccato questa strada e il fatto che riusciamo a partecipare a festival così importanti come quello di Venezia o di Cannes ne è la dimostrazione. È un modo per promuovere i nostri lavori e questo permette, a me così come agli altri registi greci, di dialogare con il resto dell’Europa. |
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