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Presentato durante l'ultimo Festival di Roma, arriva in sala "In solitario". Il film vede protagonista assuluto François Cluzet nella parte di un velista impegnato in una regata intorno al mondo, e riunisce parte della squadra del fortunatissimo "Quasi Amici". Il film è il debutto alla regia del capo-operatore di macchina Christophe Offenstein, che ha lavorato alla sceneggiatura e alla lavorazione per quasi due anni. Offenstein racconta alla stampa com'è stato girare un intero film su una barca a vela. |
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"In solitario" è il suo primo film da regista, cosa l'ha spinta a fare questo passo? |
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Come capo-operatore ho sempre avuto un rapporto privilegiato con gli attori e, per quanto strano possa sembrare, nel cinema non è la tecnica ad appassionarmi, bensì gli attori, i personaggi e la storia nella quale si muovono. D'altra parte nel compiere questo passo non sono stato lasciato solo. Ho scritto la sceneggiatura con il mio co-sceneggiatore e produttore Jean Cottin per due anni. Quanto a François Cluzet, da “Non dirlo a nessuno” e “Piccole bugie tra amici”, avevamo ormai una vera complicità ed era pronto ad accompagnarmi nei miei primi passi come regista. |
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Come mai ha scelto un film così "fisico" per questa prima esperienza da regista? |
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E' una scelta che mi somiglia e che si iscrive perfettamente nel mio percorso di vita e nel mio modo di essere. Ho partecipato a molte gare, in particolare alle prime Parigi-Dakar in moto. Quando si ha dentro la competizione, qualunque sia lo sport praticato, si ha sempre lo stesso obiettivo: la ricerca dell'eccellenza e la voglia di mettere alla prova fino in fondo le proprie capacità. E' ciò che ho ritrovato nell'universo delle regate in mare aperto, in una forma spinta agli estremi, perché i navigatori si ritrovano soli, davanti al vuoto assoluto che può esprimere l'oceano. |
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Girare su un veliero in mare aperto, deve essere stata un'esperienza destabilizzante, sia sul piano tecnico che sul piano artistico ... |
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A maggior ragione data la mia decisione di mantenere intatta l'imbarcazione sulla quale abbiamo girato. E' una monoscocca che ha partecipato all'ultima Vendée Globe, senza allestimenti o tramezzi aggiunti, la barca è rimasta com'era, nel suo stato da navigazione. Sono stato quindi obbligato a fare molto lavoro a monte, e a preparare i tagli della sceneggiatura e le inquadrature in modo molto preciso. Quanto alla posizione della macchina da presa, all'inizio avevamo previsto un carrello e dei punti di aggancio, ma ho deciso quasi subito di fare tutto con la camera a spalla, anche se c'era il rischio che si muovesse troppo. In effetti è stato, al contrario, un modo per correggere i movimenti della barca, altrimenti le immagini sarebbero state impossibili da guardare. Girare con la camera a spalla mi ha permesso inoltre di restare molto vicino agli attori, e di non rischiare inquadrature che avrebbero potuto raccontare altro. |
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Appunto. Come si fa, malgrado queste condizioni, a raccontare una storia intima e a dirigere gli attori? |
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L'avventura umana doveva prevalere sull'odissea sportiva. E per gli attori riuscire a concentrarsi in uno spazio limitato di venti metri quadrati in mezzo a diciotto persone non è stato facile. Ma al momento di girare tutti hanno fatto la loro parte con grande rispetto. Non si sentiva volare una mosca. D'altronde non abbiamo mai fatto un piazzamento senza prima concordarlo insieme. E' stato un lavoro fatto in comune. Se c'erano delle cose che sembravano difficili a François, a causa, per esempio, di gesti tecnici da eseguire durante un dialogo, si è cercato di risolverle insieme. Non lasciavamo mai niente in sospeso, anche se questo significava perdere una mezz'ora. |
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Dopo questa avventura inusuale, fara' altri film da regista? |
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Prima mi riposerò un po' dopo questa maratona durata due anni. Poi continuerò a collaborare come capo-operatore con i miei amici registi con i quali ho già lavorato in passato. Un po' perchè mi interessa, eun po' perché è un modo per man tenere una certa apertura mentale e non rinchiudermi nelle mie opinioni e nelle mie sole convinzioni. C'è con loro una grande complicità e per me, ogni volta, è come affrontare una nuova avventura. |
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