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In sala dal 6 febbraio "Smetto quando voglio", opera prima di Sydney Sibilia, continua a incontrare il favore del pubblico e resta stabile al quinto posto del box office italiano, nonostante la concorrenza di Verdone e Clooney. Sibilia, classe 1981, gira con un cast che riunisce il meglio dei volti nuovi della commedia (e non solo) italiana, da Edoardo Leo a Valerio Aprea. Il regista racconta alla stampa la nascita del progetto e le motivazioni che l'hanno spinto a scegliere uno stile visivo originale all'interno del genere della commedia italiana. |
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Come è nato il soggetto di "Smetto quando voglio"? |
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Tutto comincia con un articolo di giornale. La mia prima fonte di ispirazione è stato un trafiletto su un giornale che titolava "Quei netturbini con la laurea da 110 e lode". In pratica si parlava di due ragazzi laureati in filosofia con tanto di master che lavoravano per l'AMA - la società che si occupa della pulizia delle strade a Roma. Due netturbini che all'alba, mentre spazzano il marciapiede, discutono della Critica alla Ragion Pura è stata la prima, e per molto tempo l'unica, immagine del film.
Era la primavera del 2010 e, dopo aver girato il mio ultimo cortometraggio, Matteo Rovere mi ha chiesto di scrivere un film ma in testa avevo solo i due netturbini filosofi. In realtà quell'immagine era una sintesi di quello che stava accadendo in quei giorni: le prime pagine dei giornali erano piene di articoli sui tagli alla ricerca e sulle conseguenti manifestazioni di ragazzi che per una vita avevano sempre e solo studiato e che ora si ritrovavano, quasi quarantenni, senza un lavoro e senza una prospettiva. Nessuno sembrava accorgersi del paradosso per cui le persone più intelligenti del paese venivano messe ai margini. E se avessero deciso di ribellarsi? E se a delinquere adesso fossero le menti più brillanti in ciricolazione? E se si coalizzassero? |
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Lo stile del film è molto originale all'interno del panorama della classica commedia italiana... |
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“Smetto quando voglio” è una commedia acida, parodistica e ulta-citazionista, in cui il dramma sociale viene ripreso solo e esclusivamente come espediente comico. Siamo partiti dalla realtà come si faceva nella commedia all'italiana e ci siamo lasciati contaminare dal cinema americano contemporaneo, mettendo nel film tutto quello che ci piace: quello che Tarantino fa con i film italiani noi abbiamo provato a farlo con i film americani. Ne è venuto fuori una sorta di “Soliti Ignoti” ai tempi di “Ocean's Eleven”, The Big Bang Theory e Breaking Bad. Una banda di geniali nerd che usano la neurobiologia, il latino classico, l'antropologia e la macroeconomia per infilarsi in uno strano buco legislativo tutto italiano, quello delle smart drugs: un fenomeno interessantissimo e molto poco conosciuto. |
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Di cosa si tratta? |
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Quasi nessuno sa che in Italia una droga, per essere definita tale, deve essere censita nell'elenco ufficiale delle molecole illegali del Ministero della Salute. Se una molecola non è in quell'elenco allora non è considerata illegale. Solo nel 2012 in Italia sono state scoperte 240 nuove sostanze: le forze dell'ordine non possono fare altro che aggiornare continuamente l'elenco. La gente crea, la legge arranca. |
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"Smetto quando voglio" ha anche uno stile di ripresa molto originale. Perché questa scelta? |
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La fotografia è di Vladan Radovic e le scene sono di Alessandro Vannucci. Insieme abbiamo cercato di creare un mondo prendendo come come esempio alcune serie televisive inglesi, ricche di doppie dominanti. Insomma, fare un film nell'era di Instagram significa anche potersi prendere delle licenze stilistiche impensabili fino a qualche anno fa. Per il resto, non bisogna dimenticare che siamo di fronte a un film che ha come obiettivo primo l'intrattenimento. I miei sforzi sono stati tutti finalizzati a far divertire e a far trascorrere al pubblico novanta minuti di evasione. Il resto è decisamente secondario. |
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