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L'opera terza di Andrew Haigh arriva sugli schermi italiani preceduta dal doppio Orso d'Argento ai due protagonisti e da un plauso quasi unanime della critica. "45 anni" racconta la storia di due anziani coniugi (Charlotte Rampling e Tom Courtenay, il cui matrimonio è sconvolto da un evento che riemerge dal passato. Il regista racconta alla stampa come il film si inserisce nei temi che più gli stanno a cuore. |
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Il film è tratto da un racconto... |
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L’idea del film viene da un racconto di David Constantine, "In Another Country". C’era qualcosa di struggente in questa storia di una relazione che inizia a vacillare proprio quando si avvicina all’ultimo ostacolo prima del traguardo. Come se questo evento del passato, questo corpo di donna conservato nel ghiaccio, avesse aspettato il momento giusto per creare il caos, un caos tutto interiore. I dubbi, le paure e le emozioni represse iniziano a venire a galla, chiamati in causa paradossalmente da una persona che non esiste più. Il racconto originale era molto conciso e nell'adattamento per il cinema ho voluto aggiungere nuovi elementi, come la festa per l’anniversario, oltre che spostare l’azione ai giorni nostri e non negli anni novanta: volevo che Kate e Geoff fossero personaggi attuali e che la storia delle loro scelte ci riguardasse più da vicino. Infine, ho deciso di raccontare la vicenda unicamente dal punto di vista di Kate: ci sono molti film sulle crisi esistenziali degli uomini e volevo lavorare su una prospettiva diversa |
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I due protagonisti sembrano incapaci di rivelarsi a vicenda i loro sentimenti. Perché? |
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Esiste sicuramente una correlazione tra “45 anni” e il mio film precedente, Weekend. Entrambi si interessano al carattere complesso dell’intimità tra due persone; ai rischi che comporta il fatto di esporsi emotivamente con qualcun altro; alla difficoltà di essere davvero onesti sulle proprie paure. Peraltro, l’incapacità di comunicare emotivamente è spesso considerata come tipicamente inglese: credo ci sia qualcosa di culturalmente e politicamente conservatore negli inglesi che li spinge a nascondere i propri sentimenti per mantenere lo status quo. Ed è certamente il caso delle classi medie. Detto questo, però, penso sia molto difficile per chiunque essere davvero aperto riguardo ai propri sentimenti, anche perché è davvero complicato spiegare e articolare razionalmente quello che proviamo. Oltre il fatto che questa condivisione viene sempre percepita come un rischio |
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Entrambi i protagonisti sono attori incredibili. Come sono stati scelti per la parte? |
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Charlotte è un’attrice di straordinaria intelligenza. Sa cosa è credibile e cosa non lo è. Quando la guardo sullo schermo vedo un uragano di emozioni dietro quegli occhi. Ti invita ad osservare ma anche a mantenere una certa distanza. Riguardo a Tom, c’è una certa vulnerabilità in lui e nel suo personaggio. L’ultima cosa che volevo era un uomo arrabbiato, pronto a sbraitare contro il mondo. Cercavo piuttosto qualcosa di più complesso, di più sensibile. Il suo personaggio è in lotta con se stesso, non è il cattivo del film. Nel film non ci sono cattivi, solo delle persone che cercano di risolvere i propri problemi. Un altro aspetto interessante dei due protagonisti è che sono entrambi due icone degli anni sessanta. Ho sempre sperato che le loro storie personali e artistiche sarebbero state percepite in qualche modo dal pubblico. “45 anni” parla anche delle speranze e del potenziale del passato dei due protagonisti e il fatto di conoscere questi attori per come erano da giovani credo aiuti enormemente il pubblico |
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Perché raccontare una coppia già in là con gli anni? |
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La rappresentazione di questa coppia in là con gli anni è volutamente poco convenzionale. Io non credo che le persone smettano di cercare risposte solo perché invecchiano. Circola questa convinzione che prima di arrivare ai trent’anni bisogna aver capito e risolto tutto di se stessi. Sono abbastanza sicuro che per la maggior parte di noi non funziona così. Cambiamo in continuazione, la nostra identità si evolve senza sosta e non smettiamo mai di fare domande
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Perché ha scelto il punto di vista di Kate per raccontare l'intera vicenda? |
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Provo una grande simpatia per Kate. C’è sicuramente una componente irrazionale nei suoi sentimenti e lei stessa ne è consapevole, ma quei sentimenti rivelano al tempo stesso qualcosa di più profondo e sconcertante. È come se concentrarsi sulla propria relazione l’avesse spinta a provare una nausea che non riesce a superare. Si sente gelosa e respinta ma soprattutto è in ballo qualcosa che riguarda il significato stesso della sua vita, come se tutto ciò che ha costruito negli anni iniziasse a perdere senso e a sgretolarsi, senza che lei riesca a rimettere i pezzi insieme. Il tema del tempo, d’altra parte, mi interessa molto. Le nostre vite somigliano a un’onda che va avanti tranquilla mentre non sembra succedere nulla e, tuttavia, più si invecchia più si capisce che il tempo in realtà sta fuggendo. Mi piace comprimere il tempo nelle storie che racconto e i miei film, non avendo una trama particolarmente complessa, grazie a questa compressione acquistano slancio e energia |
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