Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Intervista: Francesco Ghiaccio

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Per la sua opera prima Francesco Ghiaccio sceglie di raccontare una storia del suo territorio: la silenziosa strage degli abitanti di Casale Monferrato dovuta alla fabbrica locale di amianto. Un'emergenza che coinvolge tutta Italia, visto che il materiale è ancora oggi presente in molte costruzioni. Co-autore della sceneggiatura di “Un posto sicuro” insieme al protagonista Marco D'Amore, Ghiaccio racconta alla stampa l'esperienza sui luoghi del racconto.
Intervista Francesco Ghiaccio: Domanda 1Com'è nato il suo interesse per questo tema?
Sono nato a Torino, la mia famiglia si è trasferita nel Monferrato quand’ero bambino ma per molto tempo non ho saputo nulla di questa vicenda, perché la fabbrica è stata chiusa nel 1986, quando ero ancora troppo piccolo. La bonifica è iniziata soltanto molti anni dopo: fino all’inizio del processo non si sapeva nulla di ciò che stava accadendo. Mentre ne sapeva molto, purtroppo, chi era drammaticamente coinvolto, avendo avuto lutti in famiglia o tra gli amici. Il processo ha dato una fortissima risonanza mediatica all’argomento – il rinvio a giudizio del 2009 e la sentenza dell’inizio del 2012 – e questo ha rappresentato per me il “gancio”, la motivazione per entrare nel vivo della materia.
Ho riflettuto sul fatto che nonostante vivessi in quella zona sapessi poco o niente del disastro e così ho iniziato una grande ricerca a livello personale: era una storia che volevo assolutamente raccontare perché mi riguardava, ero cresciuto dove erano cresciute tante persone che avevano perso la vita, spesso giovani. In un primo momento mi sono documentato attraverso interviste scritte e filmate, mi sono reso conto che se io ero disinformato come tanti miei coetanei c’era tutta una parte di popolazione casalese che lottava da almeno trent'anni facendo capo all’AFeVA (Associazione Familiari e Vittime Amianto), attiva dagli anni '70 a livello locale. Ho scoperto ad esempio che tempo fa un ragazzo, al primo giorno di lavoro in fabbrica, si era sentito domandare da un vecchio operaio: “Sei venuto a morire anche tu?”. Si chiamava Nicola Pondrano e insieme al sindacalista locale Bruno Pesce avrebbe poi fondato l’AFeVA, per sensibilizzare l’opinione pubblica.
In un primo tempo la vicenda sembrava legata solo agli operai: la fabbrica Eternit era ambitissima perché gli stipendi erano più alti rispetto a quanto previsto dal contratto nazionale e offriva anche un indennizzo, se qualcuno aveva la tosse riceveva un bonus, e questo sembrava quasi un vantaggio, un privilegio… A fine mese si guadagnava tanto, e la cosa veniva considerata un male sopportabile, nessuno sapeva e nessuno voleva credere che quella fabbrica li avrebbe uccisi tutti
Intervista Francesco Ghiaccio: Domanda 2Il titolo del film, "Un posto sicuro", suona quasi come una beffa…
Sì, era quello che credevano di aver trovato gli operai quando entravano all’Eternit, la fabbrica dei sogni. I capi hanno continuato a ripetere loro che quello era un posto sicuro, anche quando venivano giù vite come birilli, una dopo l’altra. Perché un posto sicuro, che non può essere solo un miraggio, è quello che vuole adesso diventare Casale. Quando i morti iniziarono a diventare tanti, qualcuno si disse che non poteva essere un caso: venivano affissi davanti ai cancelli della fabbrica i manifesti mortuari degli operai che mancavano, ma non c’era ancora la certezza della nocività perché i medici della fabbrica continuavano a tranquillizzare tutti, quando erano previste delle ispezioni l'Eternit veniva pulita per bene e non si trovava niente. Fino a quando un ispettore salito su una scala non ha trovato della polvere che in realtà era residuo di amianto: da qui è iniziata la prima base del processo, che ha fatto capire a tutti la drammaticità della situazione. Negli anni precedenti c’erano stati piccoli processi contro dirigenti locali, il vero grande processo è stato quello istruito dal Procuratore Guariniello a Torino contro i vertici della multinazionale dell'amianto che purtroppo ha visto poi dichiarati prescritti i reati in Cassazione.
Quando ho cominciato a documentarmi ho trovato tante testimonianze: ad esempio – oltre a quelle di Pesce e Pondrano – anche quella di Romana Blasotti Pavesi, una donna diventata il simbolo della lotta perché ha subito ben cinque lutti in famiglia. Da quando ha perso il marito è diventata la presidentessa dell’Associazione e non ha mai smesso di lottare fin dalla sentenza di primo grado che ha dato loro ragione, a quella di appello che aveva aumentato i risarcimenti fino poi alla Cassazione che ha cancellato tutto… è come se ti levassero la speranza. Queste testimonianze sono andate a far parte della storia originale, del racconto che io e Marco D’Amore abbiamo scritto unendo vicende personali e collettive. Nel nostro film si parla di un padre e di un figlio che sono dei personaggi inventati ma fanno riferimento a tanti racconti che abbiamo ascoltato dalla viva voce degli abitanti di Casale. Sullo sfondo della loro vicenda ogni fatto raccontato è realmente accaduto, compresa la protesta in Comune e la fiaccolata per le vie del centro: abbiamo ricreato delle situazioni vere, spesso con gli stessi protagonisti. Dopo un anno e mezzo di studio ci siamo convinti che volevamo raccontare questa storia a tutti i costi anche girandola coi nostri telefonini…
Intervista Francesco Ghiaccio: Domanda 3Che rapporto si è creato con Marco D’Amore?
Io e Marco ci siamo conosciuti una quindicina di anni fa alla Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano dove io studiavo drammaturgia e lui recitazione, abbiamo iniziato presto a lavorare insieme e abbiamo fondato una compagnia chiamata "La piccola società" con cui abbiamo realizzato diversi spettacoli teatrali e cortometraggi che abbiamo scritto insieme di cui lui è stato protagonista e io regista. Il tutto è poi sbocciato nella stesura della sceneggiatura di “Un posto sicuro”: siamo stati catturati da questo progetto e dopo un anno e mezzo di studio ci siamo convinti che volevamo raccontare questa storia e ci siamo messi in moto, poi per fortuna è entrata nel progetto Indiana Production, che ha trasformato il nostro sogno in un film vero.
Intervista Francesco Ghiaccio: Domanda 4Come ha partecipato Casale Monferrato alle riprese?
Ha sposato pienamente e in modo convinto il nostro progetto sia a livello di amministrazione che di gente comune. Abbiamo girato tanto per la città per ricreare alcune scene realmente accadute e il supporto è stato totale, la produzione ci diceva che riusciva in poche ore ad ottenere delle cose che su altri set richiedeva giornate di lavoro tra uffici, pratiche e visti vari. Era un film che parlava della storia della città, molti si sono identificati nel film perché lo consideravano un’occasione di riscatto soprattutto dopo la sentenza della Cassazione.
Il nostro è soprattutto il racconto di una rinascita: un risveglio che è iniziato più di trent’anni fa, quando i primi operai dissero “qua stiamo morendo tutti”. E così iniziarono a lottare. “Un posto sicuro” non riguarda solo il lavoro o la consapevolezza di vivere in un posto sano, ha a che fare anche con la parte più segreta di noi, lì dove speri che tutto sia in ordine e che riprenda presto a splendere.
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Un posto sicuro
di Francesco Ghiaccio
Drammatico, 2015
102 min.
Film diretti:
2015  Un posto sicuro
Atri film:
2011  Cavalli