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Arriva nelle sale italiane il film d'esordio della scrittrice e sceneggiatrice ungherese Virág Zomborácz. La regista, classe 1985, ha iniziato il percorso che l'ha condotta dietro la macchina da presa con “Mózes, il pesce e la colomba” vincendo il premio MEDIA European Talent Prize a Cannes 2011. Zomborácz racconta alla stampa il percorso che l'ha portata all'esordio, a partire da un sogno molto personale. |
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È vero che l’idea per il soggetto di "Mózes, il pesce e la colomba" ti è venuta dopo aver sognato tuo padre in veste di fantasma? |
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Sì, è vero. Dopo che mio padre è morto l’ho sognato diverse volte e nei miei sogni ero consapevole del fatto che il fantasma era lui, ma non mi riconosceva e mi diceva cose senza senso. Non si ricordava di chi io fossi. Ne parlai a mio fratello e lui mi disse di aver fatto sogni molto simili. Nei suoi sogni nostro padre sembrava ingenuo, come un bambino, faceva domande infantili. E questa è l’origine del film. |
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Il film comprende diversi argomenti difficili e delicati, ad esempio la morte e il disagio psichico, ma non mancano ironia e leggerezza: qual è l’importanza di questi ingredienti? |
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Ironia e leggerezza sono molto importanti, hanno finito per diventare la mia corazza nelle battaglie di ogni giorno. Questo l’ho imparato dalla mia famiglia: contrariamente al padre di Mózes nel film, mio padre era un uomo che sapeva essere leggero, divertente e sensibile. |
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Nel film si trovano temi intimi e legati alla sfera affettiva e psicologica. Perché hai scelto questa prospettiva? Ed esiste secondo te una prospettiva femminile nel cinema? |
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Senza dubbio sono convinta che esiste una prospettiva femminile, perché uomini e donne crescono in modi diversi, con regole diverse, anche se a volte non ne siamo consapevoli, e tutto questo forma il nostro modo di vivere e di vedere il mondo. Ma ci sono anche differenze tra le persone che non c’entrano con il genere, che sono legate ai luoghi in cui si cresce e ai vissuti personali. In questo film non mi sono concentrata sulla mia visione “al femminile”, volevo piuttosto mostrare relazioni e ruoli che ognuno può comprendere, a prescindere dal suo genere di appartenenza. |
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Quali sono le condizioni in cui lavorano oggi i giovani registi in Ungheria? |
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Ad eccezione di pochi apprezzati registi, la maggior parte di noi per vivere fa qualcos’altro oltre ai film. Teatro, lavori commerciali, videoclip musicali e via dicendo. Mentre lavoro al mio prossimo film, ad esempio, io per vivere scrivo sceneggiature per le serie tv di HBO Europe. |
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Il Bergamo Film Meeting, di cui con hai vinto la 33esima edizione, nel 2002 ha ospitato una retrospettiva dedicata a Béla Tarr e quest’anno ne dedica una a Miklós Jancsó: quanto hanno contato gli autori ungheresi nella tua formazione? |
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Nutro molto affetto verso il cinema e i film della mia infanzia. Ho iniziato a scrivere sceneggiature quando avevo sei anni. Beh, non ero certo una bambina diversa dagli altri, queste composizioni precoci erano esattamente quello che si può immaginare possa scrivere un bambino di sei anni. Credo che mia madre la conservi ancora oggi. Io sono cresciuta in periferia, in un cosiddetto quartiere operaio, gli stimoli mi arrivavano più dalla televisione che dal cinema e dall’arte. Sono stata influenzata più dai film di Bud Spencer e Terence Hill che dal cinema ungherese. Béla Tarr e Miklós Jancsó li ho conosciuti studiando, ho cominciato ad apprezzarli dopo i vent’anni. |
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