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Dopo il discutibile Lei mi odia, Spike Lee torna a dimostrare il suo enorme talento con Inside Man, una re-invenzione del cinema dei colpi in banca in cui Lee si diverte a mescolare tematiche sociali e politiche con i punti di forza del genere cinematografico. Seguendo due filoni narrativi diversi (quello del flashback e quello degli interrogatori di tutti gli ostaggi) Lee costruisce un noir metropolitano, dominato dalle figure dei tre protagonisti principali: Denzel Washington nei panni di un poliziotto, il ladro Clive Owen e Jodie Foster, avvocato senza scrupoli. |
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Quale è stata la genesi produttiva di Inside Man? |
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Ho letto lo script di Russell Gerwitz e mi sembrava molto, molto buono. Ho subito deciso di realizzare questo film e grazie alla qualità della sceneggiatura abbiamo potuto mettere insieme un cast decisamente importante. Il mio approccio principale a questo soggetto era quello di lavorare affinché quello che era presente sulle pagine della sceneggiatura finisse anche sullo schermo. |
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Integralmente? |
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No, non necessariamente. Abbiamo aggiunto qualcosa, tolto qualcos’altro, modificato degli elementi, ma la sceneggiatura è tutta quanta lì davanti agli occhi del pubblico. Del resto Russell Gewirtz ha scritto un pezzo fresco e intrigante sulla falsariga del genere cinematografico della rapina in banca, mi è piaciuto il copione e volevo veramente dirigere il film. |
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Si dice che lei abbia preparato gli attori mostrando loro alcuni film... |
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E' vero, ho scelto dei film che avessero una qualche attinenza con quello che cercavamo di fare dal punto di vista dell'argomento, del look e del genere. E' una cosa che facciamo dagli ultimi due o tre film ed è diventato un evento mondano. Per gli attori e la troupe è anche un modo per entrare in contatto tra loro. E spesso ci sono persone molto giovani che non hanno mai visto questi film; è come una lezione di cinema. I due film principali che proiettavamo erano Serpico e - soprattutto - Quel pomeriggio di un giorno da cani. La pellicola di Sidney Lumet è, in assoluta, una delle mie preferite, e questa storia è una versione moderna di quel tipo di film. |
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Lei torna a dirigere Denzel Washington. Come si è evoluto il vostro rapporto nel corso di questi anni? |
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Abbiamo sviluppato un'intesa speciale dove - alle volte - parlare troppo è controproducente. Abbiamo una scorciatoia personale l'uno nei confronti dell'altro che ci consente di arrivare direttamente al punto perché entrambi capiamo quello che deve essere fatto. Così lo facciamo e basta. Non è, però, stato sempre così: ma dopo Mo' Better Blues, abbiamo fatto comunque Malcolm X e He Got Game dove la nostra amicizia si è evoluta. |
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Cosa la preoccupava di più della lavorazione di Inside Man? |
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Riuscire a mantenere il ritmo e il tono giusto per questo tipo di cinema. Ci sono molti dialoghi, tante parole e io - invece - volevo continuare a sviluppare la narrazione in maniera dinamica. Mi piace improvvisare un po' sul set, ma non penso che a tutti gli attori debba essere consentito farlo. Il mio primo obbligo nei confronti del cast è capire a chi è concesso improvvisare e a chi no. Chi può riceve una 'luce verde' da parte mia, chi non può deve recitare quello che c'è scritto sulla sceneggiatura. |
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Lei, a Venezia, ha presentato il progetto collettivo All the Invisble Children con una serie di cortometraggi diretti insieme - tra gli altri - a Emir Kusturiça, Ridley Scott e John Woo; cosa voleva raccontare attraverso il suo episodio Jesus Children of America? |
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Sono molto preoccupato per i bambini del mondo e in particolare per quelli nati con l’HIV. E’ un problema globale e ho cercato di immaginare cosa deve significare per quei bambini cui i genitori non hanno mai detto niente, e cosa succede quando scoprono la loro malattia. Sono stato felice che mi abbiano chiesto di entrare in questo progetto e mi sento onorato di essere con tutti questi altri grandi registi. Non ho avuto un attimo di esitazione a unirmi a loro. Ho girato tanti spot non è stato particolarmente difficile. Lavorare in un film è sempre una grande esperienza e noi ci siamo divertiti moltissimo con questo. Non è un film allegro e divertente, ma ho sentito che dovevo affrontare questo argomento. Alla fine c’è un messaggio di speranza, quando Blanca vede una strada davanti a sé. Ho voluto che ci fosse una luce alla fine del tunnel. Ma è dura, l’AIDS ci sta uccidendo. Ho voluto che questo film aiutasse a migliorare la consapevolezza dell’HIV, in particolare nei bambini. Penso che i bambini subiscano abusi e siano dimenticati in tutto il mondo, e spero che questo film ce lo faccia ricordare. E’ questo il motivo per cui l’ho girato. Del resto il film è stato girato interamente a Brooklyn, perché è lì che vivo, è lì che sono cresciuto. E’ casa mia. |
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Il padre della protagonista è un reduce dalla prima guerra del Golfo... |
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...e come è già successo tra i veterani del Vietnam è tornato a casa drogato. In una situazione così folle è normale trovarsi in certe situazioni... In realtà questo suo passato lo utilizza come un alibi per la sua dipendenza. |
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Anche i bambini sono rappresentati senza troppi veli in tutta la loro cattiveria... |
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Uno dei miei libri preferiti, ancora prima che uscisse il film, era Il Signore delle mosche. Sono convinto che i bambini abbiano una mentalità da branco di lupi e che - alla fine - possano percepire la loro vittima lontano un miglio: la proverbiale pecorella smarrita separata dal gregge. Non è che apprendano questa malvagità dai loro genitori: è qualcosa di genetico... |
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A proposito di branco di lupi: l'anno scorso a Venezia si parlava di una possibile dipartita di George W. Bush. Invece, le cose sono andate diversamente... |
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Non le mentirò e le dirò una grande verità: siamo tutti nei guai. |
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Il cinema può ancora cambiare il mondo? |
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I film hanno cambiato il mondo. La grande arte ha cambiato il mondo. Questo non è stato cambiato dalla vittoria di Bush. E' un processo lento, ma inesorabile che ha molto a che fare con la tempistica degli eventi. Le stelle si devono allineare... |
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Nei confronti anche di un cinema propagandistico... |
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Certo: c'è la buona propaganda e quella cattiva. I miei film preferiti sono quelli dove il regista ha un punto di vista. Non puoi essere sempre imparziale e stare sullo steccato a guardare entrambi gli schieramenti. Alle volte è davvero necessario fare un film che dia alle persone l'idea di muoversi e di agire. Come nel caso di Farhenheit 9/11 in cui Michael Moore diceva di darsi da fare per cacciare Bush dalla Casa Bianca. |
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[ fonte: Marco Spagnoli, [a href="http://cinema.dada.net" target="_blank"]Cinema.it[/a] ] |
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