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La storia di un piccolo usuraio di provincia, Geremia (Giacomo Rizzo), che presta i soldi ad un padre (Gigi Angelillo) che deve organizzare il matrimonio della figlia (Laura Chiatti). L'amico di famiglia è una storia sulfurea e inquieta: una fusione ideale delle suggestioni derivate dalla cronaca con gli archetipi de "La bella e la bestia" o "Nosferatu". Un film intenso, presentato in concorso a Cannes, diretto da Paolo Sorrentino, che dopo "L'uomo in più" e il grande successo de "Le conseguenze dell'amore", torna a manipolare immagini, simbologie e ardimenti. |
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Il personaggio interpretato da Giacomo Rizzo, l'usuraio Geremia sembra avere un valore simbolico molto forte... |
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Credo che in qualche maniera sia un concentrato molto forte di tutto quello che siamo noi. Geremia rappresenta un'estremizzazione dei nostri difetti. L'aspetto buono e rassicurante che tutti cerchiamo di emanare è solo apparenza e la figura di un usuraio si prestava bene a scardinare questa apparenza. Uno strozzino è destinato a rivelarsi in tutto il suo orrore. |
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Come fanno i personaggi interpretati da Laura Chiatti e Fabrizio Bentivoglio... |
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Esattamente: anche loro ci rappresentano, perché - attraverso le loro azioni - diventano discutibili, mentre Geremia dimostra una sua debolezza di fondo facendoci quasi simpatia. |
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Il film è disseminato di elementi provenienti dalla cultura pop, ma anche da piccoli dettagli dal grande valore simbolico per chi è nato e cresciuto tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta: dal gianduiotto alla citazione ossessiva del Reader's Digest, L'amico di famiglia è disseminato di tratti e inquietudini caratterizzanti una certa epoca e una particolare cultura... |
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Geremia è un prodotto di un certa cultura: è un essere detestabile che fa di tutto per sembrare simpatico. Napoli è piena di personaggi così. Alcune sfumature del suo modo di parlare e di pensare (che spero vengano comprese in pieno anche da chi non è napoletano...) sono caratteristiche di alcune generazioni di persone che vorrebbero sembrare attori anche quando non lo sono affatto. 'Selezione' è stata la mia fonte di salvezza per fare parlare l'usuraio: un linguaggio che non fosse di servizio, ma nozionistico, 'alto' e 'basso' al tempo stesso. Fare di Giacomo un lettore avido di Selezione dal Reader's Digest è stato molto divertente dandomi la possibilità di giocare con conoscenze nozionistiche e male utilizzate, ma - al tempo stesso - non banali. |
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Parliamo della trama... |
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No, non mi interessa farlo, né spiegare i momenti del film: le trame sono ormai tutte quante in una maniera o nell'altra ripetitive. In fin dei conti le trame sono sempre le stesse e il cinema soffre di sinossi spiegate dai loro autori. Personalmente sono molto più affascinato dall'aspetto stilistico e non mi va di parlare di una trama che quando raccontato non riesce del tutto a spiegare il film. |
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C'è un elemento grottesco nel film? |
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Se c'è è stato per caso, perché non era un obiettivo che mi sono prefissato. E' qualcosa che è semplicemente accaduto. Il film voleva essere molto reale ed esteticamente il più efficace possibile. In quel senso è possibile che le cose appaiono grottesche, ma non era mia intenzione. Un effetto collaterale e indesiderato. |
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In un cinema italiano spesso ispirato dal volere essere consolatorio, come ha lavorato con gli attori per impedire loro di essere indulgenti con personaggi estremi? |
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Era tutto nella sceneggiatura: quello che volevo si poteva trovare in un copione dove tutto era molto chiaro e non lasciava spazio ai dubbi. Non ho avuto bisogno di convincerli... |
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Parliamo dello stile... |
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Carmelo Bene ha detto una volta che l'immagine è volgare e l'unica immagine non tale è quella che eccede. L'Agro Pontino dove il film è girato si presta ad eccedere. Mentre gli esterni eccedono in sottrazione, gli interni raccologono una quantità eccessiva di orpelli. Fuori abbiamo scelto di lasciare solo un certo tipo di immagini. Mentre le auto parcheggiate mi avrebbero obbligato ad un'immagine 'media' e quindi volgare, ho preferito farle rimuovere. Io odio le immagini volgari: se vedo un film dove si intravvedono i motorini parcheggiati, come spettatore, lo considero brutto. La mia idea di cinema è quella di partire da un contesto realista e dunque possibile tradito da una messinscena che si allontana. Mi interessa fare convivere due anime: una verosimiglianza nella trama e una narrazione più inverosimile possibile... Abbiamo avuto la possibilità di utilizzare un certo tipo di audacia nelle immagini, scegliendo di illuminare gli esterni: una cosa che si fa poco nel cinema italiano. Illuminare l'esterno significa puntare ad una certa artificiosità, mentre per gli interni abbiamo puntato ad una rappresentazione del buio un po' esasperata e - in un certo senso - pericolosa. Luca Bigazzi, il direttore della fotografia, per me è sempre più fondamentale e prezioso. Le musiche hanno aiutato il film ad estremizzare lo scontro degli elementi al suo interno: sonorità auliche che commentano situazioni misere e minime. |
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Lei è anche tra gli attori protagonisti de Il caimano con un piccolo cameo... |
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Come attore è stata un'esperienza divertente, ma l'unica cosa cui pensavo, mentre lavoravo con lui è che quando Moretti ti parla non dà lo stop e la pellicola continua a scorrere. Lui non ha problemi di budget, mentre per me era un vero incubo e l'unica cosa cui pensavo era: "Quanta pellicola si sta sprecando..." |
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Il protagonista del film si chiama Geremia: un'eco biblica? |
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No: Geremia era il nome dell'amministratore di un condominio cui dovevo portare spesso un assegno: una persona misteriosa che apriva la porta di qualche millimetro, intascava l'assegno e richiudeva subito. Era giusto usare il suo nome per il mio film... |
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[ fonte: Marco Spagnoli, Cinema.it ] |
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