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Quale è la vera identità di "Nuovomondo", opera italiana accolta con grandi applausi da pubblico e stampa alla Mostra del Cinema di Venezia e premiata con il Leone d’argento rivelazione? Non si tratta di un dramma né politico, né storico, né sociale. Piuttosto, suggerisce il regista Emanuele Crialese, "è la storia di un lungo viaggio in tre atti". Il viaggio di una famiglia siciliana verso l'America agli inizi del secolo è fotografato da Agnès Godard e magnificamente interpretato da Charlotte Gainsbourg e Vincenzo Amato. |
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Crialese, questa sceneggiatura nasce dal suo interesse per i volti dei nostri connazionali giunti in America, le cui foto sono esposte a New York, o meglio a Ellis Island... |
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Già, per me sono stati una sorta di ossessione. Io non credo ai fantasmi, ma la prima volta che sono stato al museo di Ellis Island, e ho visto quelle facce come stordite, perse nell'obiettivo, ho avuto un attimo in cui ho sentito come una presenza invisibile, dietro di me. Mi sono girato, e non c'era nessuno. Nelle successive due notti, ho sognato quei volti. E per sette anni, sono tornato continuamente lì, a rivederli. |
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Insomma il film nasce da lontano? |
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Sì, ho cominciato ha scrivere una prima versione della sceneggiatura nel 1999; poi però non sono riuscito a trovare i soldi per realizzarla. Allora mi sono dedicato a Respiro, per poi tornare a Nuovomondo. E anche mentre giravo il film, il mio modo di raccontare la storia è cambiato, anche per le difficoltà logistiche. |
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Ad esempio? |
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Siamo andati tutti a girare in Argentina, ci avevano detto che lì c'era una nave a poco prezzo. Ma una volta arrivati non c'era affatto; così siamo stati costretti a fare le riprese su un peschereccio degli anni Ottanta. Cosa che ovviamente ha cambiato il mio modo di dirigere, il tipo di inquadrature, eccetera. |
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Il risultato, comunque, ha convinto il popolo della Mostra. E spinge anche a riflettere su come trattiamo gli immigrati che sbarcano in Italia. |
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Non posso definire Nuovomondo un film sull'emigrazione. Quello che posso dire è che siamo un popolo che non ha mai colonizzato nessuno, ma che ha fondato tante comunità, in tanti paesi del mondo. Per questo dovremmo farci promotori di un migliore sistema di accoglienza, per chi arriva qui. Invece, il come affrontiamo questo tema mi disturba, proprio perché viene dagli italiani. Un popolo che ha avuto 20 milioni di emigranti. |
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E in effetti la portata del fenomeno si vede bene, nella sua pellicola: ad esempio nelle scene di massa, come la partenza della nave. |
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Per questo tipo di sequenze, mi sono ispirato agli autori che mi hanno influenzato di più. Come Fellini, col suo modo di raccontare per immagini, di trasfigurare le storie. In modo assai diverso dalla tv. Per questo io credo che il mio film non sia realista, ma iper-realista. |
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L'altro elemento che colpisce è quello onirico... |
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C'era già in Respiro, ma qui ho osato maggiormente. Anche perché vedo che il pubblico lo capisce, vi aderisce. Il rischio in questo senso è la presunzione, l'immagine fine a se stessa. |
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Il suo film all'inizio sembrava che fosse candidato per andare a Cannes? |
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Non era finito, l'inquadratura finale è stata girata in aprile e il montaggio è terminato in agosto. |
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Riprenderà questo tema in altri suoi lavori? |
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Vorrei realizzare un documentario dal titolo Black Drop, letteralmente quella goccia nera di cui andavano alla ricerca nel laboratorio di eugenetica, aperto in America nel 1902 e che ha portato alla terribile sterilizzazione di oltre 60mila persone quasi sempre disadattate e ai margini, spesso neri o immigrati, con l'obiettivo di difendere la razza bianca anglosassone. |
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[ fonte: Repubblica.it ] |
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