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Millions è nelle sale di tutta Italia, sesto film del britannico Danny Boyle. Eppure, anche questa volta, l’ombra di Trainspotting si staglia su ogni considerazione. Tra la voglia di cambiare, ed il costante confronto col suo più grande successo commerciale, il regista prova a fare un po’ d’ordine. |
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Dopo il suo esordio, con Shallow Grave, è la volta di Trainspotting, film del quale s’è parlato maggiormente: da una parte la positività del tema dell’amicizia, dall’altra accuse di amoralità. Quali erano le intenzioni, e quali i risultati? |
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Io volevo giusto raccontare l’amicizia di un gruppo di ragazzi, affrontare il momento in cui, dopo aver condiviso per un po’ di tempo molte esperienze, ci si inizia a perdere di vista.
Non accetto l’accusa di amoralità, piuttosto si deve parlare di imperfezione: imperfezione dell’uomo, degli uomini, com’è nella loro natura. La perfezione se la cercassero in chiesa: non esiste nella vita reale, tanto meno la troveranno in un mio film. Tra l’altro Trainspotting è stato un successo, e non solo di pubblico: un film tirato su con un budget bassissimo, che affronta responsabilmente il problema della droga, arrivando ad aprire gli occhi a tanti; se oggi si inizia a parlare di legalizzazione, pur con tutti i ‘se’ ed i ‘ma’ necessari, è anche grazie a film come questo (e quali altri?, ndt), che mostrano i drogati come persone normali, quali realmente sono. |
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Parliamo di ‘Trainspotting’, nel senso letterale del termine. |
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Ovvero ‘prendere nota del nome dei treni che passano in una città e trasmetterlo ad una persona che vive in un'altra città’; una completa perdita di tempo, un hobby inutile, tipicamente maschile. Questi personaggi vivono perdendo tempo, e mentre lo perdono credono di capire come sta cambiando il mondo. |
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Dopo Trainspotting lavora ad Hollywood, quindi l’horror 28 Days Later, adesso la favola di Millions: cosa la spinge a cambiare sempre? |
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Qui regista e pubblico la pensano sempre diversamente: cambiare è bello, adoro trovare qualcosa di nuovo da raccontare, ancor più trovare nuovi modi in cui farlo. Il pubblico, invece, vuole ritrovare nei film di un regista tutto quello che gli è piaciuto nel primo. Quando io scelgo un argomento per un film non c’entrano ragioni commerciali, ma mi baso esclusivamente sulla mia emotività, sulle sensazioni che una data storia mi comunica. |
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Millions sembrerebbe parlare di soldi… |
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In realtà il film parla semplicemente di un bambino e del suo mondo immaginario, della sua fantasia. In questo film i soldi non sono la meta agognata, all’opposto di Trainspotting, nel quale i protagonisti avevano bisogno di soldi per continuare a drogarsi. |
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Un film nel quale ha spazio la sua visione religiosa. |
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Ha spazio la mia educazione, che è stata cattolica, ma oggi non mi ci riconosco più; oggi mi definisco liberal. Non ho voluto raffigurare i santi secondo gli stereotipi buonisti, ma li ho dotati di una spiccata personalità per avvicinarmi maggiormente alla verità storica di queste persone straordinariamente uniche ed al contempo, nell’ottica d’un bambino, divertenti, buffe. Santificare un individuo è pericoloso, si rischia di legarsi troppo alla persona perdendo di vista quella che è la fede: ad esempio per Giovanni Paolo II bisognerebbe guardare anche a quello che non ha fatto, o ha fatto male, parlo dell’ostacolamento della diffusione della concentrazione ed i milioni di morti che ne sono derivati, ma anche di tante altre cose. |
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Anche da questo film si evince una sua critica della società. |
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Sì, ma meno che in altri, quali Trainspotting o, soprattutto, The Beach; in fondo, di questa società ne faccio, ne facciamo parte. Bisogna distinguere le utopie, gli idealismi, dalla realtà. È inutile pensare al comunismo, o chissà a cos’altro, la nostra realtà è fatta di altri problemi, potrebbe bastare un Tony Blair, così osteggiato da tutti, a risolverli. Va bene, diciamo a risolverne una parte. Una piccola parte. |
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Cosa pensa delle due realtà che rappresenta: il cinema inglese ed il cinema indipendente? |
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Se il cinema inglese è in crescita lo si deve alla presenza di molti ottimi attori, non solo ai registi più impegnati, dico un Ken Loach, o anche un Mike Leigh. Il pubblico si vuole immedesimare con gli attori, va al cinema per loro, sono pochi quelli che cercano il film di Loach perché suo e basta.
Parlare di cinema indipendente è più complicato, nel girare un film è più facile dipendere da tutti che da nessuno, è utopia pensare di controllare sempre ogni fase della lavorazione, la distribuzione, per esempio. Ritenevo il mio primo film, Shallow Grave, molto più adatto al mercato estero di Trainspotting, invece è andata esattamente al contrario. |
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