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La seconda edizione della Festa del Cinema di Roma è aperta da "Le Deuxième Souffle", sorta di remake di un vecchio film di Jean-Pierre Melville. Alain Corneau presenta il suo film alla stampa, accompagnato da una splendida (e mora) Monica Bellucci.
Al centro dell'intervista sono i motivi che hanno spinto Corneau a rigirare oggi un film che ha avuto successo 40 anni fa; il regista francese non lesina osservazioni sfuggendo il banale: il senso profondo del film è che non c'è più la malavita di una volta... |
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Le Deuxième Souffle è tratto dal libro di José Giovanni, dopo che già Melville lo aveva portato sullo schermo nel 1966. Qual è il significato di questa operazione? |
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Il mio film è un riconfezionamento, una modernizzazione, ho cercato un nuovo punto di vista sulla storia del libro. Il libro di Giovanni è costruito come una tragedia greca, io ho sì impostato una relazione con un’altra epoca, ma ho cercato di farlo in una maniera atemporale. |
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Parliamo del personaggio di Manouche, interpretato da Monica Bellucci |
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Si tratta di una delle differenza più vistose con il film di Melville: all’epoca si è scelto di non trattare per bene questo personaggio. Oggi ha molta importanza: è l’unico personaggio femminile in un mondo di gangster. Non siamo però al cliché della femme fatale: ad esempio, quando Monica dice ‘ti amo’ sembra vero. |
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Sul personaggio di Manouche interviene Monica Bellucci: |
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Manouche (che vuol dire ‘gitana’) è un personaggio femminile ma forte, vive in questo mondo di gangster, lo conosce e lo rispetta. La costruzione del personaggio è nata dall’idea dei capelli: biondi ma con la ricrescita mora visibile, un’immagine che Manouche si è costruita per difendersi dal mondo della strada. Una bionda al centro di una storia di uomini è un po’ la sintesi del genere noir…
L’istinto di sopravvivenza la spinge verso l’altro gangster, più borghese, quando si rende conto che Gu sta andando verso la morte. |
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Ci troviamo di fronte a personaggi tragici ispirati alla realtà. |
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Sì. Giovanni ripeteva sempre di aver conosciuto tutti i suoi personaggi, ma di non aver mai avuto interesse a raccontarli com’erano nella realtà, attento invece alla costruzione di una meccanica tragica.
Il mondo della malavita, però, non è più lo stesso: è esploso, non ci sono più codici comuni. Al massimo, qualche banda còrsa… Io credo che vi siano codici eterni, parole come onore e denuncia, che appartengono a tutti noi. C’è un tema di fondo che ritorna, e cioè che siamo tutti un po’ pesci fuor d’acqua. |
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Il noir è un genere che, nell’immaginario comune, appartiene al passato… |
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Amo il noir, lo vedo come un corpus collettivo; siamo come artigiani che vanno tutti nella stessa direzione, in Europa come in America, vedi De Palma o l’ultimo Scorsese, o in Asia. Voglio osservare però che il termine ‘noir’ è francese, e non è un caso. Fa parte della nostra cultura.
Quanto al rapporto col passato, ho cercato di realizzare un film d’epoca con i mezzi di oggi, di guardare un modo moderno una storia vecchia. |
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Un’ultima domanda su Daniel Auteuil, che non è a Roma, e nel film interpreta il ruolo che fu di Lino Ventura. |
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José Giovanni è morto pochi anni fa: con lui avevamo parlato proprio di Daniel per questo ruolo. Per me ha raggiunto una maturità tale da essere rigoroso, minimalista, quasi essenziale nella sua costruzione del personaggio. E’ uno dei pochi che sa sicuramente dare allo schermo qualcosa che attraversa il tempo.
Un aneddoto: per dirmi che accettava il ruolo mi ha svegliato alle 7 del mattino… |
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