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Sala stampa gremita per Julie Taymor e Elliot Goldenthal: "Across The Universe" si è appena dimostrato uno dei film che verranno ricordati a lungo in questa Festa del Cinema - tutti quanti nella sezione Première, che non ha deluso le aspettative.
Un musical costruito, come il titolo già suggerisce, sui testi dei 'favolosi quattro' di Liverpool: proprio dalla città sulla Mersey parte, clandestino, il giovane Jude; ad attenderlo, al di là dell'Atlantico, un paese in fermento. E una ragazza che si chiama, inevitabilmente, Lucy... |
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Cosa è presente della sua esperienza teatrale in questo film? |
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Credo che la mia esperienza teatrale sia stata utile anche perché ho lavorato con il musical. Ho sempre creduto nella forza dei testi, nell’ispirazione che ne può derivare; si tratta di trovare un equilibrio tra la forza che viene dai testi e quella delle immagini. |
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Quante volte ha dovuto ripetere le scene per far cantare in sincro? |
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L’ottante per cento della musica è stata registrata in presa diretta, non abbiamo ricercato il sincronismo labiale e siamo soddisfatti del risultato. Abbiamo registrato in studio solo quando c’era troppo rumore in strada; non c’è stato scollamento perché abbiamo usato gli stessi microfoni per il dialogo e il canto. |
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Perché ha usato delle scene computerizzate? |
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Sono poche le immagini computerizzate: nulla è generato dal pc, vi abbiamo solo lavorato in fase di montaggio per creare l’animazione. |
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Non tutti vi ritrovano l’atmosfera che hanno vissuto in quegli anni all’università, né è pienamente convincente il comportamento dei giovani; inoltre perché manca molta della musica che era parte integrante di quegli anni, a cominciare da Bob Dylan? |
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Abbiamo riflettuto sulla questione musicale, ma non era possibile includere altra musica oltre ai Beatles: è un musical, non una ricostruzione, e dovevamo esprimerci solo attraverso Mc Cartney, Lennon ed Harrison. E’ molto impegnativo prendere questa musica e cercare di rappresentare quest’era, alcuni arrangiamenti tipo il gospel di “Let it be” o “Oh! Darling” sono stati il tentativo di includere il ‘senso di musica’ dell’epoca.
Quanto al resto: questa è la realtà che io ho vissuto e toccato con mano, la realtà dei miei amici, dei miei fratelli: ognuno ha la propria. |
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E’ avvenuta prima la scelta delle canzoni, o è nata prima la storia? |
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Mi è stata proposta una traccia di una storia che riguardava questo amore transatlantico: ho pensato che ci volesse qualcosa di più, il Vietnam, gli scontri razziali.
Poi abbiamo cominciato ad ascoltare tutte le duecento canzoni dei Beatles, che hanno ispirato il resto della storia: fanno parte organica delle scene, non volevamo un musical con dei brani qua e là, i brani sono la storia – tant’è che c’è solo mezz’ora di dialogo. |
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Sono stati contattati Paul Mc Cartney e Ringo Starr? |
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Ringo è stato il primo a vedere il film, poi l’han visto anche Yoko Ono e Olivia Harrison. Due ,esi dopo ho provato una gioia terrificante perché mi son trovata accanto a Paul Mc Cartney, da sola, a vedere il film. Arrivati a “All my loving” ha cominciato a cantare sottovoce… Gli è piaciuto molto, ha detto: “è impossibile che ci sia qualcosa che non mi piaccia!”.
Pensavo anche a dei camei di Paul e Ringo, ma non volevano essere in primo piano. |
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Salma Hayek e Joe Cocker hanno chiesto di partecipare o li avete contattati voi? |
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Salma Hayek me l’ha chiesto, mi ha implorato dicendo che avrebbe fatto qualsiasi cosa; gli ho detto “fai un’infermiera”; “un’infermiera?” – “Ok, le fai tutte”.
Per Joe Cocker siamo stati noi a cercarlo, e siamo stati felicissimi quando ha accettato. |
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Jim Sturgess assomiglia a Mc Cartney: è una cosa voluta, o casuale? |
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No, è stata una sfortuna, ma è il ragazzo col talento più straordinario che mi sia capitatp di conoscere. Jim non assomiglia solo a Paul, il suo volto racchiude qualcosa di tutti i Beatles – a parte Ringo. |
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E la collaborazione con Bono? Sul set si è comportato da attore o da star? |
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Elliot Goldenthal aveva già lavorato con Bono, io sto lavorando con lui e The Edge per un musical.
Chi lo conosce sa che può fare l’attore, ha la capacità di interpretare personaggi diversi. Lui fa il poeta in realtà, è impegnato a salvare il mondo ma quando viene a lavorare con gente come noi è serissimo, s’impegna non è affatto una rockstar: lavora a livelli straordinari di perfezione. |
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L’energia di questo film può essere letta anche in chiave contemporanea o si riferisce esclusivamente a quei tempi? |
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I ragazzi che hanno fatto questo film hanno l’età delle persone che interpretano e a loro interessa tantissimo quel che sta succedendo: durante le riprese della marcia sembrava di partecipare ad una vera marcia: l’energia è dovuta a questo, c’è un vero entusiasmo in queste scene. |
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E’ importante l’impatto visivo: che tipo di lavoro è stato fatto? |
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Ho avuto il beneficio di grandi collaboratori che si sono occupati della fotografia, dei costumi: gli spazi verticali di Liverpool, quelli orizzontali di Brooklin, i colori incredibili dell’appartamento di New York e delle parti più oniriche… |
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Ha partecipato alla coreografia e alla lavorazione delle maschere che si vedono nel film? |
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Sì, lavoro in entrambi i campi. Le marionette e le maschere (le donne vietnamite con lacrime di cristallo) sono ricreazioni di quelle di Peter Schumann. Nel ’74 io stessa ho indossato una di quelle maschere vietnamite. |
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