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Mike Newell e Giovanna Mezzogiorno hanno presentato questa mattina alla Casa del Cinema di Roma il film L'amore ai tempi del colera, tratto dall’omonimo romanzo del grande scrittore colombiano Gabriel García Márquez e distribuito dalla 01 Distribution. Una storia d’amore d’altri tempi, bella e drammatica, difficile da raccontare, che ha rappresentato sia per il regista britannico che per l’attrice romana una grande sfida professionale, accolta da entrambi con entusiasmo. |
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Ci parli del suo ultimo lavoro… |
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Sicuramente è stato il più difficile che abbia mai fatto: in ogni momento dovevo decidere se mettere o meno delle parti del romanzo, e ogni volta che omettevo qualche particolare provavo un grande dispiacere, ma del resto non avrei potuto girare un film di sei ore.
Il secondo grande problema è stato capire se volevo realizzare un film “di nicchia” o più aperto, accessibile ad un pubblico più ampio. Alla fine ho preferito la seconda opzione. |
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Cosa ha lasciato da parte, e quanto è stato difficile trattare un tema così importante come l’amore? |
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Purtroppo sono stato costretto a tagliare molte scene, cercando di concentrarmi solo sulla voglia di Márquez di raccontare una storia umana, che copre l’intero vita della protagonista, dai suoi 16 anni fino alla sua vecchiaia. L’amore trattato è un amore concreto, reale, non idealizzato. Non credo sia una coincidenza che il libro sia dedicato a sua moglie, Mercedes, e che il protagonista sia uno scrittore colombiano, proprio come lui… |
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Perché ha scelto la Mezzogiorno per il ruolo di Fermina? |
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L’ho scelta per i suoi occhi. Giovanna ha delle caratteristiche che non la rendono banale. In Sudamerica ci sono donne bellissime e affascinanti, ma dopo tre settimane non dicono più niente. A me invece serviva un tipo di bellezza che catturasse, e ho trovato nei suoi occhi come un “ponte segreto”, la caratteristica magica che avrebbe fatto girare la testa a un ragazzo di sedici anni.
Ovviamente c’è anche la sua bravura come attrice: l’avevo già vista in altri film, e mi era piaciuta molto; inoltre fin da piccola è stata sempre circondata da attori, e ha lavorato anche con Peter Brook: non l'ho vista recitare (Ofelia, in un riadattamento dell’Amleto, ndr), ma questo di per sé già mi bastava. E poi, quando le proposi la parte mi disse: "sono tua". |
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Come sono stati i rapporti con Márquez? Ha visto il suo film? |
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Purtroppo quando iniziammo a girare il film Gabriel stava molto male, rischiava addirittura di morire, e stava sempre in viaggio tra la sua casa a Città del Messico e un ospedale di Los Angeles dove si curava. Non riuscivamo mai a vederci, per questo il nostro rapporto è stato soprattutto epistolare. Mi ha sempre dato consigli e suggerimenti e quando vide il film per la prima volta ricordo che alzò il braccio e fece un grido di giubilo: gli piacque. Credo sia stato sincero. E poi suo figlio lo ha confessato al produttore… |
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Quanta ironia c’è secondo lei in questo romanzo? Sappiamo che per esempio in America il pubblico ha anche riso molto... |
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Beh, in America io ho visto gente ridere, ma anche gente piangere. Il bello di questo romanzo è proprio questo: la capacità di toccare diversi sentimenti contemporaneamente. C’è una parola italiana, commedia, che credo racchiuda bene l’anima di questo film: da un lato c’è la parte drammatica, dall’altra quella quasi comica, come quando Florentino a più di 70 anni si dichiara vergine alla sua amata… Ma l’aspetto più importante è stato vedere come il pubblico, per quanto diverso, abbia capito la descrizione di Márquez sull'amore, e non su come si dovrebbe amare. |
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