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Esce il 29 febbraio "Forse Dio è malato", uno sguardo dal taglio documentaristico su alcuni dei problemi dell'Africa odierna.
Liberamente ispirato al libro omonimo di Walter Veltroni, il film di Franco Brogi Taviani, distribuito dall'Istituto Luce, racconta sei storie in sei paesi diversi, che vanno a comporre un affresco terribile.
Dalle note di regia dell'autore, ricostruiamo il percorso di questo film: il libro, l'esperienza sul territorio, le paure, la determinazione. |
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Cosa significa questo film: |
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Ho potuto utilizzare il mezzo d’espressione, che è passione e mestiere di una vita, per schierarmi <...> con chi lavora perché il mondo prenda coscienza che la tragedia dell’Africa può trasformarsi in un disastro planetario. D’altra parte, almeno moralmente, il disastro, viste le responsabilità dell’occidente, ci ha già travolto. |
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Le cifre del disastro: |
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Le persone colpite dall' Aids nell’Africa subsahariana sono salite in questi ultimi anni a quasi 25 milioni e mezzo, gli orfani a 15 milioni.
Ma non si tratta solo dell' Aids. <...> Sono stati fatti più passi indietro che avanti, nonostante che in alcuni stati africani il prodotto interno lordo stia rapidamente crescendo: gli individui colpiti da fame cronica sono nel mondo 852 milioni e i primi sette paesi per la percentuale di persone denutrite sono africani.
20 milioni sono di mine sparse nel territorio, <...> aspettativa di vita sotto i 40 anni. Un bambino su sei, nell'Africa subsahariana, muore prima di compiere 5 anni. Fame, guerra, malattia.
La disperazione diventerà rabbia e poi assedio e poi conflitto senza fine. In ballo c'è il futuro non solo dell' Africa, ma del mondo. |
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Come ho cominciato: |
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Grazia Volpi, che ha sempre fortemente voluto questo film, mi propose di scriverne la sceneggiatura e realizzarlo; io stavo per rifiutare, ero impaurito e non mi sentivo all’altezza della situazione.
Grazie alla passione che traversa tutto il libro di Veltroni, ho cominciato a documentarmi e sono partito per i sopralluoghi.
Cominciando a vedere e a vivere i luoghi e le situazioni, ho cominciato anche a pensare che il compito del film non fosse quello di dare giudizi, ma solo di stare tra la gente e raccontare, dare voce alle loro storie.
Niente pietismo, niente sensazionalismo. |
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Lo sgomento: |
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Quando mi sono trovato di fronte agli occhi del bambino abbandonato dalla madre che si gonfiano di pianto, o quando abbiamo incontrato i ragazzi accusati di stregoneria in Angola, o le donne sieropositive dei Memory Books in Uganda, mi sono domandato sgomento: cosa ci faccio qui? E allora mi sono forzato a ripetere, a ripetermi: sto girando un film, che deve solamente servire a mostrare proprio quello che sto vedendo e non vorrei vedere.
Sono qui per unirmi al grido di allarme di molti. Solo facendo
vedere immagini come queste le cifre del disastro acquistano corporeità. |
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Il lavoro: |
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Ho pensato ad un film che guardi strettamente al presente senza arrampicarsi sugli specchi di un futuro a tutti sconosciuto, <...> dotato di una cadenza drammaturgica e poetica <...> scandita nelle canzoni che interpuntano e amalgamano la diversa materia narrativa. |
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La "canzone narrante": |
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Usare diverse cantanti donne, rappresentative dei vari paesi
toccati, sarebbe stata un’operazione un po’ troppo “etno”; era meglio ridurre il tutto ad un linguaggio unico e comporre una musica apposita che combinasse il sentire occidentale a quello africano. Poiché avevo scelto di abolire qualsiasi tipo di voice over che si sovrapponesse alle immagini, abbiamo pensato che la forma “canzone narrante” fosse la più adatta a dare continuità a questo tipo di storia, un grande affresco corale costruito passando da un paese all’altro senza neppure specificare dove si è. |
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La musica: |
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Ho scritto io i versi, ispirandomi ai modi di alcune ballate popolari africane. Giuliano Taviani e Carmelo Travia hanno composto la musica; il senegalese Badara Seck l’ha arricchita di vocalità e sonorità nere. Infine la giovanissima cantante sudafricana Siya Makuzeni ha adattato il tutto alla sua sensibilità. |
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Il risultato: |
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Spero di essere riuscito a portare l’Africa, questa tragica Africa dell’oggi, alla soglia delle nostre coscienze alle quali il film si rivolgerà con le voci di dentro, quelle che vivono e raccontano la tragedia, e che non sono poi così straniere, né così lontane dalle nostre. |
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