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Non è un film che si dimentica facilmente, questo Muffa, anche se certo non è un film che viene incontro allo spettatore o che si può definire 'piacevole'. Sulla scia delle opere di Nuri Binge Ceylan, soprattutto dell'ultimo, altrettanto esasperante (concordo con Accarin) e affascinante 'C'era una volta in Anatolia', questo thriller psicologico che quasi bandisce la suspence per concentrarsi solo sull'anima, sul dolore, sulla dignità, sull'attesa, non lascia indifferenti, almeno non quegli spettatori che sono riusciti a non addormentarsi. Notevolissima l'interpretazione dello sconosciuto attore protagonista.
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Silenzio e attesa sono le note peculiari di questa opera prima che si sdipana con esasperante lentezza nelle spire di un paesaggio piatto e opaco, sospeso tra infiniti binari e lande desolate: come gli animi dei personaggi. Basrì è in attesa di conoscere la sorte del figlio, scomparso misteriosamente 18 anni prima a Istanbul. Da allora, va regolarmente all'ufficio postale per spedire le sue petizioni al Governo. Cemil è invece un personaggio fosco, un'ombra malefica di dostoevskijana memoria: insensatamente crudele, dannatamente perduto. Lo sfondo: siamo in Turchia, ma non in quello stato prossimo all'integrazione europea bensì in un paese primordiale e isolato dal mondo civile. Tale isolamento si riflette specularmente sulla solitudine di questi uomini, in una riflessione sul dolore e sulla gratuità del male che si fa universale e che l'assenza di colonna sonora non fa che rimarcare con inquadrature di un impietoso realismo. Film crudo e acre da vedere per comprendere...
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