Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Laurent Cantet La cura è nascosta dentro alla malattia

Invia questa pagina via e-mail a chi vuoi tu Stampa questa pagina
a cura di Giordano Rampazzi
Laurent Cantet, regista ma anche sceneggiatore francese, ha il grande merito di aver riportato – dopo ben 21 anni – la Palma d’oro a “casa”. Lo ha fatto con “La classe - Entre les murs” (2008), il suo lavoro probabilmente più riuscito, sicuramente il più vendibile. Il tema del film è facilmente intuibile dal titolo e prende spunto dall’omonimo libro di Francois Begaudeau, che ha poi collaborato alla stesura della sceneggiatura e interpretato (ottimamente) il ruolo dell’insegnante protagonista. Il probabile successo che accompagnerà l’uscita di questo titolo contribuirà, si spera, a far emergere il talento di un regista che in appena quattro film ha ampiamente dimostrato la sua capacità di avvicinare i problemi centrali della società nel modo più elevato e intellettualmente onesto.
E’ bene sapere, però, che non è la prima volta che il cinema di Cantet riceve dei riconoscimenti. “Risorse umane” (1999), suo primo e toccante film che immergeva lo spettatore nel mondo del lavoro aziendale, riceve numerosi premi come migliore opera prima. “A tempo pieno” (2001) riceve alla Mostra del Cinema di Venezia il Leone dell’anno per la sezione Cinema del presente. Anche la sua terza pellicola “Verso il sud” (2005), forse la meno interessante, riceve numerosi premi e contribuisce a rafforzare un’immagine del regista francese che lo porta a scomodi paragoni con Ken Loach, tralaltro estremamente parziali. Lo stile di Cantet, infatti, è improntato al realismo e all’analisi proprio come il grande regista britannico, ma è allo stesso tempo spoglio da ogni tipo di ideologia precostituita o di retorica civile. I facili giudizi e le accuse, sembra dirci il regista, non sono materia per il cinema, che invece può essere usato come strumento di focalizzazione tra i più potenti a nostra disposizione.
Gli spazi mentali che il regista francese descrive sono quelli che ognuno di noi ha attraversato più e più volte durante la propria vita, magari accantonandoli per scarsa comprensione o per paura di decifrarli. Ama costruire piccoli mondi e dopo aver chiesto furbescamente permesso allo spettatore, indaga nelle personalità dei personaggi della rappresentazione e ce li porta sulla poltrona accanto alla nostra, rovesciando il consueto gioco che vuole lo spettatore proiettato nelle narrazioni. Guardando i suoi film ci si sente presi per mano, senza avere l’impressione di essere caduti in una trappola. Eppure il suo uso di stretti piani di ripresa è in realtà uno dei tanti elementi pseudo-documentaristici che mette lo spettatore al muro. Il modo stesso in cui fa recitare gli attori – che nel caso di “La classe – Entre les murs” non sono nemmeno tali – fa capire come Cantet voglia rendere loro stessi parte di un gioco al di sopra delle parti, frutto di improvvisazione e chiarezza di obiettivo. Chi è parte di un processo, di un problema insoluto, deve far ricorso al proprio buon senso e comprendere che la cura è nascosta dentro alla malattia. Un cinema, dunque, per provare a riconoscersi all’interno di un mondo che, anche se apparentemente estraneo, è il nostro.
Basta un gesto sembra dirci Cantet. Basta inquadrate un volto, dare forma a un’idea e ritagliare spazi per pensare: è questa l’unica forma di speranza e la forma più alta di sensibilizzazione che può dare un artista.
 » LAURENT CANTET
 » FOCUS
 » FILM E RECENSIONI
 » HOME VIDEO
7 days in Havana | Laurent Cantet
La classe - Entre les murs | Laurent Cantet
Verso il sud | Laurent Cantet
 » INTERVISTE
Laurent Cantet | Laurent Cantet
Laurent Cantet | Laurent Cantet