Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Danny Boyle Le infinite possibilità di un racconto

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a cura di Vaniel Maestosi
Danny Boyle è Cinema. La sua passione con la settima arte, subito reciproca, nasce dalla determinazione con la quale il regista britannico, nato nel 1956, già da giovanissimo inizia a studiare cinematografia, prima iscrivendosi al Thornliegh Salesian College di Bolton nel Lancashire, poi frequentando l'University of Wales presso Bangor e subito dopo accumulando grandi esperienze artistiche prima teatrali, poi televisive. Fino ad arrivare al 1994, anno del debutto sul grande schermo con la black comedyPiccoli omicidi tra amici”. Macabra ma riuscita vicenda di tre ragazzi alla prese con un cadavere ed una valigia piena zeppa di contanti che segna anche il duplice sodalizio con lo sceneggiatore John Hodge e soprattutto con il pupillo scozzese Ewan McGregor, attore fino ad allora sconosciuto.
Ma Danny l'apprendista diventa presto irriverente mago dopo lo sconvolto, ma già candidato agli Academy Awards per il miglior soggetto non originale nel 1996, “Trainspotting”. Film dopo il quale era davvero difficile continuare a dimostrare di avere linee guida che avessero un principio cinematografico chiaro e soprattutto coerente con quella straordinaria visionarietà di immagini e sceneggiatura che aveva offerto il primo lungometraggio del regista di Manchester.
Per questo nel 1997 ci voleva un Danny esagerato e una storia al limite (“Una vita esagerata”) che avesse una struttura surreale ma animata da un sospiro moderno e stilisticamente anarchico.
Impossibile dimenticare anche Danny l'esotico, quando nel 2000 per “The Beach”, scrittura Leonardo Di Caprio appena sceso dal Titanic e lo trascina dentro una vischiosa foresta di Bangkok e in una storia, se stavolta non del tutto geniale, sempre e comunque contorta, sicuramente fondamentale per il biondo ex Jack Dawson per iniziare a scoprirsi attore, qui ancora in fasce, ma in potenza pronto ad affrontare i futuri ruoli e individui non sensibili alle Rose e neanche ai bei visini.
Eppure dopo questa parentesi, vagamente commerciale, nel 2003 è arrivato, quasi catarticamente, Danny l'apocalittico, che in soli “28 giorni (dopo)” ha messo in crisi l'intera Gran Bretagna, lasciandola invadere dal virus più letale che uomo abbia mai immaginato. Un virus capace di corrodere il sangue degli umani per poi trasformarli in cannibali vampiri destinati unicamente alla ricerca di istintiva vita, di sangue non corrotto, di morte.
Con “Millions”, del 2004, Danny diventa leggero e trova la sua “quiete dopo la tempesta” in una storia semplice e minore, destinata ad un pubblico molto giovane e in fondo non suo. Ma è solo un riposante passaggio perchè tre anni dopo ecco arrivare Danny il filosofo. In “Sunshine”, il regista di proletarie origini irish, ha guardato il sole e sorriso, certo che una sfida alla luce così potente nessuno sarà più in grado di lanciarla, dopo che lui talmente colmo di luce ha scelto quasi di bruciare lo schermo, inebriandosi del respiro del sole, pur di trascinare l'occhio dello spettatore dentro la pura emozione visiva, difficilmente descrivibile, forse addirittura impossibile.
The Millionaire” è una storia senza uscita e senza entrata come un fumetto a bivio dove scegliere come proseguire. Ogni tasto un racconto e un'occasione, ogni risposta una frenetica corsa dentro domanda e Jamal il protagonista, indiano, quindi dentro l'India, massacrata ma continuamente spirituale. La storia, in fondo d'amore, commuove, diverte e a tratti offre una tale varietà di spunti che istintivamente deconcentra.
Danny l'imprevisto, capace di suscitare attese degne di un vero e proprio mito inglese, sempre corrisposte. Visionario? No, semplicemente Boyle, colui che ha osato e ha colto l'attimo fuggente, forse senza mai averlo nemmeno previsto.
Con 127 ore Danny Boyle torna alla sperimentazione pura, muovendosi tra le pareti di un canyon in un film claustrofobico e disperato. Dopo il successo riscosso con Tha Millionaire e dopo il rifiuto della regia di un nuovo episodio di James Bond, il regista inglese si lancia dunque in questo piccolo film che ripercorre la storia vera - piena di angosce - di un appassionato di arrampicata intrappolato all'interno di uno sperduto crepaccio del Canyonlands National Park senza alcuna possibilità di comunicare. Il realismo e la crudezza di alcune scene accresce l'empatia nei confronti di un protagonista prigioniero di una situazione paradossale e orribile, che costringe lo spettatore a immedesimarsi e a calarsi in una sfida contro il fato, soffrendo i 90 lunghissimi minuti del film ma anche risalendo uno stile registico che mischia linguaggi diversi ed estremamente personali, sorretti da un ottimo James Franco. Danny Boyle è un regista interessante ma controverso, ma da studiare.
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