Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Pedro Almodovar L'amore che distrugge, l'amore tra genitore e figlio, l'amore per il Cinema

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a cura di Giordano Rampazzi
Già dalla fine degli anni '80, Pedro Almodovar è senza dubbio il regista spagnolo più conosciuto, ottenendo successi in Europa ma anche in America. Ma Almodovar è soprattutto un simbolo di una società spagnola laica, moderna e progressista, che ha anticipato, incarnato e trascinato fino al nuovo millennio, nel quale ormai la famiglia non corrisponde più al modello cristiano-cattolico.
Contrario al meccanismo hollywoodiano dell'outing, il regista-sceneggiatore si rifiuta da sempre di essere un simbolo degli omosessuali. Fin da subito, però, Almodovar mette in scena un certo gusto nella rappresentazione della diversità e del sesso, dimostrando coraggio ma anche divertimento nel giocare con il trash e un'ipersaturazione di fotografia e sentimenti.
Agli esordi si concentra sulle realtà più marginali della società, situazioni complesse vissute da persone semplici, in preda a fragilità emotive e a un futuro pieno di incertezze. Girando spesso i suoi film nella cattolica Madrid, oltretutto, Almodovar mira a scandalizzare e a provocare la religione cattolica, discorso che troverà suo sfogo principe ne “La mala educacion”. La musica è sempre più presente e diventa gradualmente parte integrante della narrazione e si delinea sempre più netto il suo tocco ironico imprescindibile.
Più di recente passioni e sentimenti sembrano essersi evoluti, dando spazio a una società forse più aperta ma decisamente più sofisticata. Le ambiguità sessuali si fondono sempre più con le ambiguità di genere, dando luogo a veri e propri drammi nella commedia. Cresce la raffinatezza formale e l'analisi dell'eros maschile, finalmente reso complesso e interessante quanto quello femminile. La disperazione e le lacrime si fondono con i sorrisi di attrici rigorosamente sensuali e passionali. Il suo stile si libera degli eccessi grotteschi e diventa probabilmente più credibile e concreto, pur mantenendo il suo calore, il suo colore e il suo lato più genuinamente sognante. Una traccia invisibile sembra legare tutti i personaggi – in generale tutti i film di Almodovar –, sempre più immersi nella solitudine eppure sempre più rivolti al sesso come gesto sacro, come punto di crisi tra l'amare e il bisogno di amare. Nudità e silenzi avvolgono scene che odorano di poesia, rivelandoci che non c'è niente di normale in quello a cui stiamo assistendo, perché niente è realmente come appare. Almodovar affonda i suoi artigli sulla crisi dell'uomo contemporaneo, affidando alla donna, costretta nell'angolo per troppo tempo, a esprimere nel modo più sincero e diretto le nostre emozioni, le nostre contraddizioni, i nostri pensieri.
Gli abbracci interrotti” è il 17esimo film della carriera di Almodovar e nasce dalle emicranie violente di cui il regista spagnolo ha sofferto dopo l'uscita di “Volver”. La fotofobia che lo ha accompagnato in quel periodo, lo ha spinto a vivere in una stanza buia per mesi, dove ha potuto fantasticare e concepire questo suo ultimo lavoro. Il film è un noir che mette insieme dramma e commedia, ruotando attorno all'amore folle che nutrono per Lena (Penelope Cruz, al suo quarto film con Almodovar) il cineasta Mateo/Harry Caine e suo marito, il broker Ernesto Matel/José Luis Gomez, che diventa produttore di cinema per concedere a sua moglie il capriccio di essere attrice. Ma, inevitabilmente, entra in gioco la gelosia e finisce per spedire il figlio sul set del film chiedendogli di girare un making of della pellicola.
Il Cinema nel Cinema, insomma. Un meccanismo spesso abusato, ma giocato da Almodovar nel modo giusto, rendendolo principalmente maestoso omaggio prima che espediente.
L'ultimo film in ordine di tempo è “La pelle che abito”, interpretato dai sensualissimi Antonio Banderas (“Legami!”) ed Elena Anaya (“Parla con lei”), legati a doppio filo in un thriller duro e cattivo, molto elegante e come sempre grottescamente provocatorio. Un doppio dramma incrociato che rende l'enigmatico dottor Ledgard il vero fulcro-impazzito della narrazione, contemporaneamente eroe e antieroe di una storia che riesce a sorprendere lo spettatore usando carota e bastone...