Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Bene ai festival, male in sala La dura vita in sala dei vincitori dei grandi festival

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a cura di Glauco Almonte
Venerdì 23 marzo la Archibald porta nelle sale italiane il vincitore dell'ultimo Festival di Roma, “Un cuento chino” dell'argentino Sebastián Borensztein, distribuito con l'opinabile titolo “Cosa piove dal cielo?” (per una riflessione sui titoli leggi qui). Difficile prevedere un buon incasso per un film di cui si è parlato 5 mesi fa e che esce, con un titolo molto diverso, in poche città. Eppure la Archibald fa a suo modo un'operazione encomiabile, portando per la quarta volta in sala un film vincitore di un grande festival senza aver incassato gran ché con i primi tre.
Ormai è un dato di fatto: Cannes, Venezia, Berlino e Roma, i tre grandi festival internazionali e il quarto quanto a risonanza in Italia, lanciano film che non trovano spazio sul mercato italiano, dove dominano i prodotti da botteghino e le distribuzioni maggiori che non si interessano a questi festival. Vediamo di riassumere la situazione degli ultimi sei anni.

Cannes 7,5

7,5 non è il voto, ma l'incasso totale in Italia degli ultimi 6 vincitori del Festival di Cannes. L'ultimo in ordine di tempo, “The Tree of Life” di Terrence Malick, è tra tutti i film che tratteremo in questo articolo quello che ha incassato di più con i suoi 3 milioni scarsi. Ma bisogna approfondire il discorso: il film di Malick, regista che ha già un posto nella storia del cinema, è stato comprato da 01 Distribution molto tempo prima del festival, al punto da uscire in sala il giorno stesso della presentazione in concorso, una settimana prima di ricevere la Palma d'oro. Nei cinque anni precedenti registriamo distribuzioni ritardate, dai 3 mesi del romeno “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” (uscito tra l'altro in agosto, il mese peggiore, con 610 mila euro d'incasso totale) ai 5-6 mesi degli altri quattro titoli, che hanno dunque fatto affidamento sulla forza del film e non sul lancio pubblicitario del festival. I due film forti – “Il vento che accarezza l'erba” di Ken Loach e “La classe” di Laurent Cantet – hanno incassato rispettivamente 1,55 e 1,7 milioni, “Il nastro bianco” di Michael Haneke si è fermato a 620 mila euro (la stessa cifra del film romeno, entrambi distribuiti da Lucky Red, segnale che il numero di copie conta più della tipologia di film), mentre il neozelandese “Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti”, portato in sala dalla Bim per grazia ricevuta, non arriva a 50 mila euro.
In tutti questi casi gli incassi sarebbero stati probabilmente maggiori con un'uscita a ridosso del festival, ma gli spazi a maggio-giugno (uno dei periodi migliori dell'anno) sono occupati da tempo e per uscire tempestivamente bisogna comprare un film molti mesi prima del festival, e quindi prima ancora che sia finita la fase di post-produzione.

Venezia 6,7

Come Cannes, anche il Festival di Venezia ha i suoi buoni incassi e i suoi flop, anche se in questo caso mancano le vie di mezzo.
Tra i film andati bene grazie al festival annoveriamo “Lussuria” di Ang Lee, capace di incassare un milione e mezzo 4 mesi dopo Venezia; appeal molto maggiore per “The Wrestler” di Darren Aronofsky (2,2 milioni), uscito sei mesi dopo il Leone d'oro, ma del quale si è parlato molto per il 'ritorno' di Mickey Rourke. Con 2 milioni figura tra i maggiori incassi “Somewhere” di Sofia Coppola, ma come per il film di Malick anche questo film è stato comprato da Medusa in anticipo e mandato in sala a festival appena iniziato, tanto che l'incasso del primo weekend è stato la metà di “Lussuria”, mentre è andato meglio dal secondo weekend in poi (segno che il pubblico non è insensibile alla vittoria di un grande festival).
Chi invece sperava in un buon risultato esclusivamente grazie alla vittoria, è rimasto deluso: se per “Still Life”, vincitore nel 2006, capace di incassare solo 300 mila euro a marzo 2007, si poteva dare la colpa a un ritardo della Lucky Red nel lancio del film, gli esempi del 2009 e del 2011 dimostrano il contrario: tanto “Lebanon” quanto il “Faust” di Sokurov hanno incassato tra i 300 e i 350 mila euro pur uscendo il mese dopo il festival.
L'indicazione dei due maggiori festival sembra chiara: diversamente dal passato, oggi la vittoria cambia poco le sorti di un film in sala a meno che non sia gestito da una major che possa cavalcare il successo e aumentare il numero di copie in sala o la pubblicità.

Berlino 1,3

E' enorme la differenza tra i primi due e il terzo festival al mondo: il Festival di Berlino non lancia prodotti vincenti sui mercati, e ne fa quasi un vanto puntando invece sulla maggior qualità dei suoi concorrenti. L'ultimo esempio è di poche settimane fa: “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, primo film italiano a vincere un grande festival dopo molti anni, uscito in 30 sale ha incassato ad oggi meno di 400 mila euro. Se non ci riesce un film italiano uscito a ridosso della vittoria, figuriamoci gli altri.
Eccoli gli altri: l'iraniano “Una separazione”, uno dei migliori film girati in questi anni e vincitore dell'Oscar un mese fa, portato in sala dalla Sacher otto mesi dopo l'Orso d'oro ha incassato mezzo milione soltanto, facendo registrare al suo primo weekend in sala un rapporto-spettatori con il film di Boldi di 1:26. E stiamo parlando di un capolavoro (non quello di Boldi). Il precedente vincitore, il turco “Honey” non ha ancora trovato distribuzione, né mai la troverà. “Il canto di Paloma”, primo tentativo della Archibald a maggio 2009, ha incassato 200 mila euro. “Tropa de Elite”, film del quale si è parlato molto, si è fermato ai 60 mila euro del primo weekend, risultato che non si può imputare al cattivo stato di salute della Mikado che 4 mesi dopo andrà bene con “La classe”. L'unico incasso degno di nota (540 mila euro) è quello del “Matrimonio di Tuya”, ben lanciato da Lucky Red anche attraverso una campagna di pubblicità online; difficilmente avrebbe ottenuto lo stesso risultato senza la vittoria di Berlino. A questo caso positivo, fa da contraltare il negativo dell'anno precedente: il bosniaco “Grbavica – Il segreto di Esma” è rimasto a secco pur uscendo in qualche cinema con Cinecittà Luce.
Si tratta di film dal basso appeal commerciale, che sulla vittoria della Berlinale dovrebbero puntare per risollevare le proprie sorti in sala: evidentemente non basta, considerando anche la minor copertura mediatica (in Italia, ovviamente) di questo festival rispetto agli altri.

Roma 2

Chiude mestamente il Festival di Roma. In ultima posizione, nonostante un incasso globale maggiore del Festival di Berlino: in questa scelta non pesa la minor rilevanza storica di quest'appuntamento, né la maggior copertura mediatica in patria, ma la semplice costatazione che i 2 milioni li ha fatti tutti un solo film, “Juno” di Jason Reitman (distribuito dalla 20th Century Fox).
Per tutti gli altri si è trattato di un bagno di sangue o di una rinuncia a combattere: i primi vincitori non sono stati mai distribuiti, anche se il russo “Playing the Victim” ci è andato vicino (Iguana Film lo ha messo in calendario due volte prima di cancellarlo), mentre “Opium War” è caduto nel dimenticatoio la sera stessa della vittoria, cancellato anche dalla cattiva comunicazione che ha dato maggior risalto al vincitore del Premio del Pubblico “Resolution 819” solo perché italiano – non che il film di Giacomo Battiato ne abbia tratto vantaggio, contribuendo a stabilire un record che rimarrà negli annali: nessuno dei due vincitori di quell'anno è mai finito in sala.
Il primo a mettere piede in sala è stato il danese “Brotherhood”, ma solo per salvare la forma: la Lucky Red l'ha portato in sala a luglio (ricordiamo che il festival capitolino è a ottobre) e il pubblico ha preferito andare al mare. Incasso zero.
Kill Me Please” viene invece preso dalla Archibald e portato in sala nel giro di pochi mesi, facendo dunque il meglio possibile: ma le copie sono insufficienti, il bianco e nero non attira, il tema dell'eutanasia – nonostante sia una commedia molto divertente – meno che mai, e la 'maledizione' dei vincitori di Roma lo porta ad un incasso di 40 mila euro. Che è come dire zero.
Tanti auguri a “Cosa piove dal cielo?”, anche se le premesse – il titolo italiano e i precedenti – non sono incoraggianti.

Questione di volontà

Alla fine il tutto si riduce a una mera questione di volontà: un film incassa solo se portato sul mercato da una major, unica capace di farlo uscire in tante copie, in tante città e con una pubblicità degna. In 24 casi analizzati soltanto tre volte abbiamo trovato grandi distribuzioni (01, Medusa e 20th), e questi 3 film (tutti comprati prima dei festival) occupano la prima, la terza e la quarta posizione nella classifica degli incassi, interrotti solo da “The Wrestler” che infatti rappresenta per la Lucky Red il salto da piccola distribuzione esclusivamente di film di qualità a distribuzione medio-grande, con una sottomarca (la Key Films) per i film 'di genere'.
I tre risultati intermedi sono stai ottenuti in due casi dalla Bim, che quindi dichiara una potenzialità di 1 milione e mezzo sul mercato, in uno dalla Mikado che non opera più (ed è un peccato perché ha ancora i diritti di un capolavoro quale la “Ballata dell'odio e dell'amore”, scippato del Leone d'oro dal presidente di giuria Tarantino a beneficio della ex ragazza Sofia Coppola); solo Lucky Red e Sacher sono riuscite a superare i 350 mila euro, scoglio a cui si è arenata tutte e tre le volte la Archibald, che rappresenta la casa di distribuzione più attenta, negli ultimi anni, ai prodotti che passano per i grandi festival. Un augurio è che riesca a ripercorrere le orme della Lucky Red, mentre augurarsi che questo mercato si apra a prodotti di qualità già passati al vaglio di pubblico e critica ai festival è utopia.