Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Alberto Sordi Quanno se scherza bisogna esse seri

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a cura di Flavio Trapè
Mettere insieme le parole “scherzo” e “serietà” non è solo un esercizio linguistico, la creazione di un ossimoro o il racconto di un paradosso, è anche una sintetica quanto efficace maniera di descrivere Alberto Sordi, l’attore, la sua carriera, il suo cinema, la sua umanità, il suo “personaggio” a tutto tondo.
Con la splendida mostra-esposizione dal titolo “Alberto Sordi e la sua Roma”, la Città Eterna nei giorni del decimo anniversario dalla scomparsa rende omaggio al “suo” Albertone e al loro indissolubile connubio.
La mostra si snoda su due piani, ognuno dei quali dedicato ad un aspetto della vita e della carriera del grande attore. Filmati, fotografie, arredi e abiti di scena, copioni autografati ed alcuni oggetti privati ci accompagnano in un viaggio temporale che va dal fascismo agli anni novanta; il secolo scorso visto con lo sguardo acuto e sornione dell’artista, sguardo che, dal punto di vista cinematografico, per ben 56 volte si è posato ed ha indugiato sulla “sua” Roma.
La prima sezione riguarda più propriamente il Sordi-attore ed appunto quelle 56 pellicole che hanno avuto come sfondo (e a volte, come nel caso de “Il Tassinaro”, come vera e propria co-protagonista) la Città Eterna. Una “collaborazione” raccontata con gli abiti di scena de “Il Marchese del Grillo”, alcune locandine originali, brevi filmati in bianco e nero di pellicole memorabili e altrettanto memorabili e citatissime frasi e battute entrate ormai nel nostro linguaggio comune (“Perché io so’ io, e voi...Qua dentro il più pulito c’ha la rogna!Voi sape’ com’è la procedura? Io li sordi no’ li caccio e te no’ li prendi!”). Poi premi e riconoscimenti alla carriera e il curioso salvadanaio in terracotta a forma di mucca donatogli dalla città di Kansas City, della quale fu nominato cittadino onorario anni dopo l’indimenticabile interpretazione di Nando Mericoni in “Un americano a Roma”.
La seconda e forse più intrigante sezione invece è più personale e ci mostra il Sordi–cittadino, il suo rapporto viscerale con la città (più volte da lui definita “salotto del mondo”) e coi suoi abitanti. Abitanti dei quali riconosceva e allo stesso tempo giustificava la tipica indolenza, parlandone come del sentimento naturale che hanno quelle persone che hanno visto e sono abituate a tutto e non si stupiscono più di nulla. Anche il rapporto con le istituzioni capitoline è ben raccontato e documentato dai filmati di quando, nel Giugno del 2000, l’allora sindaco Rutelli, in occasione dell’ottantesimo compleanno dell’illustre cittadino, lo investì della carica di sindaco per un giorno. Nella sua prima apparizione ufficiale da primo cittadino, un Sordi visibilmente onorato ed emozionato si presentò con tanto di fascia tricolore e microfono in mano, si rivolse alla folla festante assiepata in piazza del Campidoglio e chiese “ma che volete da me, i maritozzi co’ la panna?”.
Anche il calcio fa una breve apparizione nel racconto della vita dell’attore romano. Lui che aveva sempre avuto la convinzione che per un attore fosse opportuno non schierarsi in nessun campo per rimanere imparziale e non deludere una parte del pubblico, aveva però fatto un’eccezione per la sua squadra del cuore, la Roma: “chi è nato a Roma è della Roma, i laziali so’ quelli de fori le mura, quelli che a la domenica ce portano la ricotta”. Nel corso della sua vita rifiutò innumerevoli inviti in tribuna d’onore allo Stadio, preferiva la comodità della tv e del divano nella sua splendida dimora a due passi dalle Terme di Caracalla. Solo una volta sembrò sul punto d’accettare l’ennesimo invito, ma dopo aver saputo che la partita si sarebbe giocata all’ora di pranzo rifiutò di nuovo dicendo che per nulla al mondo avrebbe rinunciato alle polpette della domenica della sorella Aurelia!
Sordi per anni intrattenne una vera e propria corrispondenza epistolare con i suoi concittadini grazie agli articoli che ebbe la possibilità di scrivere su Il Messaggero fra il 1988 e il 2002; una serie di editoriali pubblicati in prima pagina nei quali l’artista parlava a ruota libera coi lettori degli argomenti più disparati, dall’addio alla Lira (“non c’avremo più le piotte, se ‘nventeremo ‘n’antra parola!”) all’odiato traffico cittadino, dalla misera condizione dei cavalli delle carrozzelle (a Roma le botticelle, argomento molto sentito da Sordi tanto da dedicargli la sua ultima opera come regista-attore, “Nestore l’ultima corsa”) alla figura di Nerone, dalle allora nuove mode americane (come i fast-food) al concorso ippico di Piazza di Siena.
Il percorso della mostra si conclude con due contributi video: nel primo le immagini del mezzo milione di persone che resero omaggio alla salma nella camera ardente allestita in Campidoglio e dei seguenti funerali di Stato nella Basilica di San Giovanni in Laterano; nell’altro un collage di spassose interviste e apparizioni televisive tratte dagli archivi della Rai in cui Sordi dialoga e duetta con Mike Bongiorno, Mina, Raffaella Carrà e le gemelle Kessler, in alcuni sketch che hanno fatto la storia della nostra televisione. Sono tutte immagini che colpiscono direttamente al cuore il visitatore, facendolo commuovere e sorridere allo stesso tempo, curiosamente proprio nella maniera in cui Sordi riusciva a fare con il suo pubblico.
Alberto Sordi è stato ed è Roma. Roma non è mai stata rappresentata meglio, nel suo cinismo, nella sua rumorosità e nella sua confusione, ma anche nella sua generosità, nella sua spontaneità e nel suo calore, tutti aspetti che a ben vedere definiscono sì la romanità, ma nondimeno l’italianità.