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Fabrizio De Andrè Faber in Sardegna

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a cura di Flavio Trapè
E' stato in sala solo pochi, preziosi giorni “Faber in Sardegna”, documentario del regista sardo Gianfranco Cabiddu pensato come omaggio a Fabrizio De Andrè ma soprattutto al suo indissolubile legame con la terra sarda. Il documentario è articolato i in due parti nettamente distinte: in un primo tempo sono delineati i contorni della permanenza in Sardegna della famiglia De Andrè mentre nella seconda parte sono raccolti - con un montaggio non sempre efficace - alcuni dei momenti più significativi dell’oramai leggendario concerto al Teatro Brancaccio durante il tour dell'album "Anime Salve", l'ultimo di Fabrizio De Andrè.

Nella prima parte si ripercorre il periodo, sul finire degli anni '60, in cui il cantautore genovese coinvolse la sua compagna Dori Ghezzi nella scelta di abbandonare le scene per ritirarsi in campagna a coltivare la terra e ad allevare mucche. Più o meno consciamente, con quella decisione - apparentemente neanche troppo sofferta - furono gettate le basi per uno dei più bei dischi della storia della musica italiana: un album senza titolo, da tutti conosciuto come L’Indiano (dal disegno in copertina dell’artista statunitense F. Remington). Un album figlio anche del tragico episodio del sequestro, del quale fu vittima nel ’79 la coppia, tunuta prigioniera fra le alture e i paesaggi lunari del Supramonte Gallurese. Dopo quattro mesi di sequestro e il pagamento di un riscatto di circa mezzo miliardo di lire, Fabrizio e Dori furono liberati e lo stesso De André perdonò pubblicamente i suoi rapitori, non esitandoli a definirli "vittime del sistema". La vicenda non fece comunque mutare opinione al poeta riguardo all’opportunità di trasferirsi in quella terra, che in qualche maniera gli ricordava il savonese nel quale era nato e nel quale aveva trascorso la sua infanzia.

Si racconta, quindi, inizialmente il periodo della scelta e dell’acquisto da parte della famiglia De Andrè - con un grande aiuto da parte del padre Giuseppe - della tenuta de L’Agnata, a pochi chilometri da Tempio Pausania, la sua ristrutturazione (oggi si parlerebbe di riqualificazione) anche per mano di un architetto d’eccezione, il genovese Renzo Piano, grande amico del cantautore. A questa scelta segue il trasferimento della coppia e del figlio Cristiano nel Gallurese, il rapporto viscerale del poeta ligure con la terra sarda, con la lingua e con la gente del posto e la nascita nel ’77 della figlia Luvi. Sullo schermo rivive, quindi, la dimensione quotidiana e familiare della vita sarda della famiglia De Andrè. Si alternano ricordi della sempre affascinante Dori Ghezzi , la quale più di una volta usa romanticamente la parola "utopia" per raccontare l'idea che Fabrizio aveva de L'Agnata e le parole del parroco di Tempio Pausania, che tenne a battesimo la piccola Luvi nella chiesa privata sconsacrata della tenuta. Ma i ricordi sono tanti e comprendono anche le lacrime del fattore nel ricordare le notti stellate in compagnia dell’amico De Andrè e lo stupore del sindaco nel descrivere la sua straordinaria padronanza dell’idioma sardo. A questo materiale si alternano spezzoni tratti dai concerti della manifestazione musicale Time in Jazz, compresi fra gli anni 2005 e il 2011; ospiti di vario genere, da Teresa De Sio ad Ornella Vanoni, da Danilo Rea a Morgan si esibiscono interpretando a loro modo i pezzi del cantautore, spesso accompagnati dal figlio Cristiano e dal sardo Paolo Fresu, sempre pronti a fare gli onori di casa.

Un brusco cambio di tono investe, invece, la seconda parte del documentario in cui - con molta meno originalità - Cabiddu mostra alcune parti fondamentali di uno dei concerti dell’ultimo tour di De Andrè, la data che lo vide esibirsi al Teatro Brancaccio di Roma. Musicalmente, quelli del 1998 furono dei concerti molto complessi, in maniera simile a quelli del tour con la PFM di quasi vent’anni prima. Sul palco, straordinari musicisti accompagnarono De Andrè, fra i quali il batterista Ellade Bandini , il chitarrista Michele Ascolese e lo storico tastierista e arrangiatore Mark Harris, compagno fondamentale nel viaggio musicale di De Andrè già ai tempi dell’album de "L’Indiano". Sul palco con lui anche i due figli, Cristiano a suonare ogni tipo di strumento a corde, e Luvi, poco più che ventenne ai cori ed in un toccante duetto col padre.

Chi già conosce e pensa di sapere tutto su uno dei più grandi letterati del nostro ‘900 non potrà che rimanere ancora una volta affascinato e profondamente coinvolto dalla descrizione, dalle immagini e dalle testimonianze riguardanti la dimensione privata dell’artista; per quei pochissimi invece che non lo conoscono il film rappresenta una piccola finestra affacciata sull’ universo De Andrè e comunque un’ occasione imperdibile per ascoltare e rivedere all’opera uno dei giganti della nostra cultura.
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