Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Torino 2005 XXIII Torino Film Festival

Invia questa pagina via e-mail a chi vuoi tu Stampa questa pagina
Una Torino fredda e bellissima accoglie con interesse ed entusiasmo il suo Film Festival.
Molto atteso da organizzatori e partecipatori, il TFF rappresenta un’occasione per rinforzare il sistema cinematografico torinese, di cui il Festival già da tempo rappresenta una delle forze trainanti più importanti; principalmente per la sua capacità di diffusione e di radicamento di una forte cultura cinematografica nel tessuto del territorio italiano.
A partire da quest’anno le due istituzioni cittadine più importanti e conosciute a livello internazionale (Torino Film Festival e Museo Nazionale del Cinema) operano congiuntamente. Al di là di una semplice logica di collaborazione, che pure aveva già prodotto significativi risultati negli ultimi anni, le due istituzioni condividono progetti e obiettivi. Non si tratta di fusione vera e propria, ma di volontà di mettere in comune esperienza e competenze. L’Associazione Cinema Giovani continua ad elaborare le linee programmatiche del TFF come negli anni passati, mentre spetta al Museo la sua attuazione e gestione finanziaria.

Quest’anno il Festival si propone di costruirsi attraverso un’idea forte di selezione, dalla quale possano emergere proposte critiche di tendenze, idee ed intenti. Non una vetrina promozionale, ma una proposta culturale in favore di un nuovo cinema ancora vitale, che sappia sovvertire l’idea di mainstream e capace di rigenerarsi attraverso mille vite e metamorfosi. Coltivando in prima persona uno sguardo curioso, senza dogmatismi e censure preventive, nella libertà di lasciarsi sorprendere da incontri inaspettati e “oggetti” misteriosi, si continua a pensare che tutti i film siano nati “liberi ed uguali” (citando André Bazin), anche se (proprio perché?) provenienti da mondi cinematografici lontani.
Il Festival che si presenta, ricco di prime europee e mondiali nelle quattro sezioni internazionali dedicate al cinema contemporaneo (Concorso, Fuori Concorso, Americana, Detours), corrisponde a queste ambizioni. Baricentro del Festival è la sua “dichiarazione d’intenti”.
Il Concorso si caratterizza per l’invenzione linguistica e la novità estetica; sembra che mai come quest’anno il “giovane” cinema presente a Torino (si tratta di opere prime, seconde o terze) manifesti un’originalità ed eccentricità che eccedono lo
standard medio della categoria festvaliera del “cinema d’autore”.
Le nove sale interamente dedicate al Festival non fanno altro che sfornare film. Film che escono dallo schermo, le inondano. Poi immagini, suoni e sensazioni straripano dalle sale e invadono silenziosamente il centro di Torino, che già è splendido e suggestivo di suo. E per una settimana si trasforma nella capitale del cinema.
All’interno di un’offerta così ampia e varia, c’è qualcosa che merita davvero di essere visto.

El Barrilete (L’aquilone)
Alessandro Angelini, Italia, 2005, 35mm, 75’, col.

Un film di stampo documentaristico che parla di bambini. Di bambini in Nicaragua. E’ facilissimo andare nel banale, nel retorico, nel già detto o peggio, nel buonismo. Angelini schiva con abilità e sensibilità questo pericolo e racconta, semplicemente, una storia.
Non ci sono i colpi di scena, non c’è l’assassino insospettabile, non ci sono effetti speciali. Non c’è retorica. Rimane la crudezza di una storia come tantissime, e l’abisso che lascia di fronte a chi guarda. Recitato magistralmente.
“Ci sono storie che non vengono raccontate, che restano custodite fra le strade che le vedono nascere, senza superare mai i confini dei loro luoghi originari. Le scene di alcuni bambini di Managua sono di questo genere. Una precedente esperienza lavorativa nel Paese centroamericano mi aveva lasciato in eredità un chiodo fisso: raccontare la condizione della niñez in questo Paese, perché non avevo mai assistito in vita mia a una tale negazione dell’infanzia, a una tale violenza che obbliga i bambini a crescere in fretta per poter sopravvivere. Managua non è solo la capitale del Nicaragua, ma anche il luogo che meglio riflette il senso di totale abbandono del mondo infantile” (A. Angelini).

Odgrobadogroba (Gravehopping)
Jan Cvitkovic, Slovenia, 2005, 35mm, 103’, col.

Un bellissimo film, a suo modo, satirico. La satira che apre il “secondo sorriso”. Quello che si disegna al taglio della gola. Questa opera fa attraversare allo spettatore ogni gamma di possibili emozioni. Diretto e recitato con maestria. Una storia cruda, raccontata senza mezzi termini, di una comunità di un piccolo villaggio sloveno. A partire dal suo protagonista, Pero, che si guadagna da vivere scrivendo discorsi funebri. A a finire con tutti i personaggi che gli girano intorno, ognuno col proprio vissuto. E il proprio destino. Di alcuni è veramente impossibile non innamorarsi.
“Il film vuole raccontare una storia sull’intimità comune. La sola cosa che vorrei ottenere è che, guardandolo, qualcuno si riconoscesse in questa intimità e la vivesse come propria. L’idea di Gravehopping è di non dire, spiegare, approvare o disapprovare alcunché. Perciò lo spettatore non deve avere un atteggiamento critico, ma semplicemente stare a guardare. Le cose esistono, sono complete in sé. Vorrei che la gente sentisse l’essenza del vivere, che non ha bisogno di essere giudicata o valutata” (J. Citovic).

Homecoming
Joe Dante, USA, 2005. HD 60’. col.

Rispetta la costruzione classica dell’horror, ma alla fine l’opera può essere considerata di protesta politica. E’ apparentemente una storia di zombie. Solo che sono zombie di soldati americani caduti in Iraq che tornano per raccontare quello che è successo davvero, quello che hanno visto. E hanno delle richieste, per niente violente.
Quello che è sì violentissimo è l’attacco all’amministrazione corrente statunitense. Molto meno retorico ed enfatico di quanto si potrebbe pregiudicare (anche se è pur sempre un film americano). Un’opera grottesca nel senso migliore del termine. Alla fine della proiezione, standing ovation a Dante, presente in sala.

Pierpaolo Buzza