Cinema del Silenzio - Rivista di Cinema

Francis Ford Coppola Segreti... di un'altra giovinezza

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a cura di Glauco Almonte
Noi viviamo, e sogniamo, da soli...

Il tempo nella vita di Francis Ford Coppola scorre lineare per quasi sessant’anni, nei quali si scopre cineasta, matura in fretta, completa anzitempo la sua scalata fino alla vetta dell’ottava arte e poi danza, al ritmo di un uomo di mezza età che ha già capito tutto, e che non vuole ancora chiedersi cosa farà da grande. Un giorno se lo chiede: in un istante il tempo rallenta, diventa percezione, “senso interno”, non scorre più ma viene percorso avanti e indietro, soprattutto indietro, verso una ricerca della risposta alla domanda originale. A cosa ci serve, il tempo?
Per dieci anni, poco meno, il cineasta Coppola è una madeleine sospesa a metà strada tra se stesso e il suo destino, la distanza tra realtà oggettiva e percepita – tra materia e spirito – si fa abisso: il successo non lo riempie, né lo aiuta a mettere a fuoco le dimensioni di questo abisso; superato il fallimento, Coppola supera anche il successo e si chiede cosa rimanga, togliersi la vita non è soltanto smettere di fare cinema. Regista perfetto, filosofo dilettante, riesce a ripercorrere il suo tempo all’indietro finché non trova una risposta nella letteratura, una passione ed una promessa mai mantenute. Il suo ritorno dietro la macchina da presa ha i tratti di Borges e di Proust, poesia più che narrazione, individuando nella metafora la forma primitiva d’espressione.
Costretto a semplificare per la stampa, dice che la sua “prima” carriera gli ha permesso di fare adesso quel che aveva da tempo nel cassetto, ma forse questo tempo lo dilata un po’ troppo, attribuendo alla propria giovinezza impulsi della vecchiaia, più che della maturità. Tanto in “Youth withut youth” quanto in “Tetro” il primo problema è quello di mettere a fuoco, l’ultimo è interpretare: fin troppo facile descrivere con la sua arte questa sfida, che sullo schermo resta irrisolta. Al termine del suo processo di decostruzione, il suo approccio ha l’ingenuità di un’inquadratura al contrario, un guardare senza sapere come fare, lo sguardo attento e non partecipe di una macchina fissa, che incamera senza compenetrare. Illustra, ma non spiega. La sua ricerca di un cinema puro, seppur sublime, è rappresentata dalla ricerca di Dominic di un linguaggio originale e, nell’impossibilità di ottenerlo, delle origini del linguaggio. L’inarticolato momento del principio. E’ fin troppo articolato il continuo voltarsi indietro dall’unico momento certo, alla ricerca di una porta di comunicazione metafisica che cancelli la parola “fine”: Coppola volta le spalle alla nera signora e cerca di ingannarla con superpoteri, preveggenza, metempsicosi, financo la capacità di assorbire il contenuto dei libri sfogliandoli, il più grande sogno umano insieme all’invisibilità e alla morte. Voltandole le spalle si dimostra umano anche nel campo, quello cinematografico, dove pensavamo fosse superiore, immateriale, fuori dal tempo come noi lo intendiamo. Coppola si scopre solo, e accetta come compagno in questa folle corsa all’indietro il proprio doppio, un altro sé il quale, si illude, conosce le risposte alle sue domande. Invecchiare fa male a tutti, sono le sue parole; ma in questa giovinezza senza giovinezza non c’è spazio soltanto per la paura, che dura il tempo di un ciak.
Mentre da fuori assistiamo a quello che sembra un testamento cinematografico, rammaricandoci dell’imperfezione formale del presunto lascito di un genio, Coppola porta avanti la sua auto-analisi, confrontandosi col tema principale del suo es, il cineasta, ovvero la famiglia: oggi sistemo tutte le questioni di famiglia, le parole di Michael nel finale del “Padrino”. A quel finale, al regolamento di conti durante il battesimo, ritorna trentasette anni dopo con “Tetro”: là un battesimo, qua un funerale; là la dannazione, la menzogna; qua la salvezza, la verità. La solidità della famiglia è distrutta, ma viene recuperato il legame umano, più forte di quello di sangue.
Questa volta Coppola gioca con il suo strumento preferito: non è uno smarrimento dell’anima, ma un viaggio nel passato della propria professione, un battello guidato con perizia mentre scruta tra la fitta boscaglia se c’è qualcosa che gli è sfuggito. Nessun attentato, il battello attracca dopo un viaggio impeccabile, nel quale ci piace ritrovare l’artista osannato per una vita. In realtà ci ha preso in giro: abbiamo rifiutato la sua seconda giovinezza cercando di riconoscere nel nuovo Coppola il vecchio, ma il nuovo Coppola è più furbo di noi e ci delizia i sensi con la sua padronanza di ogni aspetto tecnico dello spettacolo. Dietro la dolce, calda, familiare apparenza formale continua il suo viaggio fuori dal tempo umano, dentro se stesso, sfidando il successo con la storia di un rifiuto del successo stesso, di una legittimazione dell’uomo che non riguardi le sue azioni ma la sua interiorità, lasciando che siano gli altri a scambiare la gloria per consapevolezza, confondendo ancora una volta e per sempre esteriorità e soggettività. C’è spazio per un solo genio, nel campo artistico; ma al di qua dello specchio, nella propria vita, Francis fugge alle leggi dello spazio e del tempo, cercando risposte che non sono scritte nell’ultima pagina del copione.