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La sceneggiatura è una guida che evita di percorrere le classiche strade narrative. Eppure, nel complesso, sembra che manchi qualcosa, un guizzo, un impennata emotiva. Forse eliminare il settaggio sulle frequenze dell’entertainment è impresa davvero ardua, o forse è normale che non tutti vengano toccati dalla vicenda narrata. In ogni caso, il lavoro della Rohrwacher è motivo di orgoglio per il nostro spesso asfittico panorama cinematografico, soffocato dalle solite notissime facce.
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L’ostacolo più grande quando si approccia un film così radicalmente “da festival” è aggirare la nostra predisposizione a essere sempre più stupiti, sorpresi e forzatamente intrattenuti. La mente di uno spettatore moderno infatti è inevitabilmente influenzata dagli (altissimi) standard di coinvolgimento e tensione sul modello di alcune (stupende) serie tv americane, che a detta di molti rappresentano le vette più alte dei prodotti audiovisivi contemporanei. Naturale quindi che possa non essere così banale passare dall’ultimo episodio di Breaking Bad al film che ha vinto il Premio Speciale della giuria al Festival di Cannes. Lo stile di Alice Rohrwacher in realtà non è particolarmente astruso o incomprensibile. Questa sua opera seconda è semplicemente la descrizione di una vita reale molto intensa e combattuta. Il tema è attuale e affrontato con coraggio, la regista ha un certo tocco e un’elevata sensibilità per il delicatissimo periodo adolescenziale.
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