Dominato da specchi, schermi, finestre, diaframmi che stanno lì ad indicare l'opposizione interno-esterno, pubblicato-privato, dicibile-indicibile, visibile-invisibile, superficie-profondità, luce-ombra. L'impianto narrativo è un po' debole e ripetitivo e il film esaurisce il suo signifato ben prima della fine. Ma la fotografia preziosa, le scelte musicali azzeccate e le riprese eleganti (al limite della maniera) lo rendono comunque un buon film. Il regista sembra non risovere col finale il nocciolo della questione, o meglio si ha la sensazione che il vuoto rappresentato (anche attraverso i ripetuti e meccanici rapporti sessuali) non sia in alcun modo risolvibile. In fin dei conti l'infelicità dei protagonisti (unico riempitivo di questa vuoto) è comune a tutti, se non nella forma o nell'intensità, almeno nella sostanza.

Il testamento artistico di uno dei più grandi geni del '900. Magistrale dal prologo fino all'epilogo. E' un fiume inarrestabile di sensazioni che lambisce tutto lo spettro dell'animo umano. Bergman regala a tutti un lungo ed appassionato inno alla vita sottoforma di affresco familiare, un inno che contempla dolore, gioia, dubbio, amore, magia, sesso, illusione, morte, arte passando con disinvoltura dal registro comico a quello drammatico, dal dramma sentimentale alla ricostruzione storica, dal fiabesco fino a sfiorare l'horror. Non manca niente. E' l'opera di un gigante.

Davvero difficile ridurre un'opera letteraria come la "Versione di Barney" al cinema. Infatti l'impresa riesce solo in parte. E' proprio la figura di Barney che appare sbiadita rispetto all'incredibile personaggio letterario. Il suo cinismo irriverente, la sua cattiveria infantile, la tendenza cronica alla mistificazione sono appena accennate. Certo l'aver letto lo splendido romanzo mi rende forse un po' troppo critico, ma pur riconoscendo lo sforzo, continuo a trovarlo annacquato. Un'operazione ardua ma dignitosa.

Thriller adulto. Ricalca alla perfezione i ritmi della suspence e nasconde nel suo ingarbugliato ed efficacissimo dipanarsi il senso di smarrimento verso le istituzioni di cui ci sifida. Un intrigo spinoso che rapisce l'attenzione dal primo minuto, costellato di scene elettrizzanti sempre credibili e che diventa alla fine uno spietato atto d'accusa politico.

Per tre quarti il film è un capolavoro. Splendida immersione nei dilemmi morali più profondi. Che cosa è bene? Che cosa è male? L'indagine della Bier si fa di minuto in minuto sempre più profonda ed articolata. Il montaggio alternato tra le vicende africane e quelle danesi diventa cassa di risonanza, le une delle altre. Peccato per la scelta del finale conciliatorio che risolve con un facile psicologismo i dilemmi morali a cui aveva dato corpo. Davvero incomprensibile la scelta di rovinare una pellicola che fino a quel momento aveva scavato senza banalità nelle profondità inaccessibili dei suoi personaggi. Nonostante lo scivolone finale resta un film da vedere.

Tocco leggero, mai invadente. Nessun sensazionalismo nel raccontare la storia di una bambina (che sembra un'attrice consumata) che di nascosto da tutti si finge maschio, nel mostrare con grazia l'eccitante e dolorosa ricerca di sè. A differenza di altri, credo che in realtà il tema della scoperta della propria sessualità sia centrale, e la regista affronta la materia incandescente senza moralismi di sorta. Mostra con intelligenza l'evoluzione di una scoperta, la sorpresa che si ha di sè e delle proprie aspirazioni (comprese quelle affettive e sessuali). Non accetare questo lato del film oltre ad essere un po' ipocrita, significa ridurne il senso.

Film tanto amato in Europa e tanto detestato negli USA. Personalmente, oltre a trovarvi svariati riferimenti a film precedenti di ben altra fattura, l'ho trovato poco coraggioso, molto scontato, ammiccante, inautentico. A tratti davvero fastidioso. Si salvano soltanto la figura dell'aviatore giapponese e il messaggio ottimista. Il ritratto di una giovane coppia in fuga dalla vita, sospesa tra amore e morte. Un Van Sant sottotono come gli è capitato altre volte nella sua carriera fatta di alti e bassi.

Splendida rivisitazione di un genere e grande prova registica. Inizia con una scena di suspence da antologia che ricalca tutti gli stilemi del genere, ma ben presto il film incomincia a muoversi secondo una strada nuova, tutta fatta di astrazioni, di tempi rallentati che improvvisamente accellerano. Il controllo sulla meteria filmica è totale, l'interpretazione di Gosling perfetta. Il genere noir viene squarciato di netto per mostrarne il cuore pulsante. Una bella sorpresa.

Leggero, fiabesco in certi passaggi forse un po' furbesco. Resta un dignitoso prodotto della commedia francese che avrebbe (solo sulla carta) anche qualche ambizione di analisi sociale. Troppo superficiale però per essere credibile fino in fondo.

Ascesa e caduta di un nobiletto irlandese alla vigilia della rivoluzione francese. Strutturato come un romanzo di formazione dell'epoca, pieno zeppo di riferimenti pittorici settecenteschi, infarcito di precisi riferimenti storici, accompagnato dalle sublimi note dei più grandi compositori del secolo dei lumi. Tutto è colto in Barry Lyndon, tutti i riferimenti sono alti quando non altissimi. E' raffinato ed elegante a dispetto di una storia che nasconde fra le sue spire doppiezze e bari di ogni tipo, duelli senza pietà, convenzioni sociali che nascondono immani infelicità, ma soprattutto che approda ad un destino comune che fa di Barry (un memorabile perdente al cinema) il paradigma di ogni uomo.

Sembrano due film in uno. Nella prima parte il virus viene inoculato e nella seconda se ne evidenziano gli effetti. Kubrick questa volta gioca a sottrarre, le immagini sono scarnificate. L'atemporalità è data dalle luci algide di Perry Island come dai fuochi lontani del Vietnam. E' un film crepuscolare e senza ritorno. Il finale infernale (forse il più incisivo di tutto il cinema kubrickiano) è l'epitaffio sulla tomba della nostra civiltà.

La forza del film sta nel suo essere un thriller ma anche un melò, un affresco storico dell'Argentina sotto la dittatura ma anche un legal movie. Molti registri per un unico film che miracolosamente sta in piedi fino alla fine. Diverse sequenze di grande impatto (quella nello stadio su tutte) fanno di questo film un piccolo gioiello, non così scontato come molta critica ha scritto.

Film definitivo. Coppola gira un capolavoro indimenticabile che porta dritti al cuore dell'animo nero dell'uomo occidentale. Ipnotico, maestoso, inquietante, sovraccarico di immagini, affetto da una bulimia visionaria inarrestabile che da origine ad un film spettacolare e senza epigoni.

Una fotografia in bianco e nero di rara bellezza accompagna la storia cruda e terribile dei campi di concentramento nazisti. Classico nell'impianto narrativo, il film riesce a rendere efficacemente l'orrore e la vergogna. Qua e là sconfina nel melodrammatico. In Spielberg tutto viene semplificato. Cosi' non esistono linee d'ombra nè riflessioni mature sulle cause che portarono a tale scempio. Ma forse queste non erano le motivazioni che lo hanno spinto a girare una storia tanto dolorosa. Resta un affresco sincero di quegli orrori dove si è solo vittime o carnefici, come in un film del terrore.

Sceneggiatura piena di voragini tenute insieme dalla maestria di un regista che resta, a mio avviso, un immaturo cronico. Qui genera una storia per ragazzi colma di avventurosi incontri con lucertoloni resuscitati da un'umanità senza scrupoli. Innovativo solo per gli effetti speciali indubbiamente notevoli per l'epoca. Ma bastano?

Giocattolone d'autore.

La scena dello sbarco che apre la pellicola è da antologia. Per il resto niente viene aggiunto al filone americano classico del war film. I buoni sono buonissimi e i cattivi cattivissimi. Manicheo fino al retorico e quasi insopportabile finale. Il disgusto fisico della guerra non si accompagna anche a quello morale. Alla fine si ha la sensazine che la guerra debba essere giustificata, soprattutto quando la si è vinta.

Splendida e dolente ricostruzione del dramma della shoah. Lo sguardo di Polanski si fissa su una singola storia che diventa tutte le storie. Ma qui non si ritrova la comoda retorica di spielbergiana memoria... Interessante l'idea che l'orrore si accompagni sempre all'abitudine alla bruttezza. A salvare il protagonista sarà non a caso una musica tanto bella quanto frutto dell'elevazione spirituale dei singoli. Idealista e capace di scorgere un flebile spiraglio di luce nella notte più cupa.

Quattro attori di razza e in stato di grazia, una regia senza sbavature di un grande cineasta, una sceneggiatura brillante e molto intelligente. Difficile portare al cinema con tanta maestria un quartetto da camera, eppure Polanski ci riesce benissimo.

Incede col ritmo di un sabba. Film claustrofobico, diabolico, dominato da presagi nefasti e odore di zolfo in ogni angolo. La paura che si annida in qusto autentico capolavoro dell'horror, è pervasiva e penetrate come raramente accade. Agghiacciante.

Tutte le tecniche di ripresa possibili adoperate per costruire un affresco sconvolgente degli istinti più profondi dell'uomo. Un capolavoro di ingegneria cinematografica al servizio di una storia profetica e di uno sguardo sull'uomo senza infingimenti. Il film di un anarchico.

Intelligente, raffinato, salace, scorretto, graffiante, divertentissimo.... Congegno comico perfetto che mette alla berlina tutta la stupidità umana.

Film dalle ambizioni smisurate che riesce miracolosamente a dare corpo cinematografico al Mistero. Un viaggio indimenticabile nel tempo e nello spazio alla ricerca del senso.