La forza delle immagini e la straordinaria visione della vita del fotografo Sebastian Salgado riempiono lo spettatore di nuova linfa e, si spera, di un approccio più consapevole sulla storia dell'Uomo e della Terra. Un documentario, più che un film, con un potente messaggio di speranza: sta a noi volerlo realizzare.

Dopo un buon inizio e la scena delle commesse nel Supermarket con gli occhioni, Tim Burton è evaporato, non era più seduto a fianco a noi durante il film. Ci ha abbandonati ad assistere a una storia che si snoda e si conclude come è realmente accaduto. Credevamo nella favola, ci risvegliamo in una biografia.

Torna al cinema in versione restaurata Barry Lyndon. La più importante opera visiva di Kubrick, il migliore film storico mai ambientato nel settecento, l'opera più libera e al tempo stesso con più riferimenti artistici e letterari, e dove riemerge prepotentemente la grande passione del regista per la fotografia. Tutto questo può essere apprezzato solo sul grande schermo: imperdibile.

Bisogna ammettere che da tanto tempo non si vedeva un film con tanti piani sequenza. E questo è merito della bravura degli attori che hanno vinto meritatamente la coppa Volpi. Costanzo, dal canto suo, spinge giustamente in questa direzione: l'analisi al microscopio del rapporto coniugale. Originale la sceneggiatura e notevole lo sforzo nel girare in spazi così angusti. Forse proprio perché concentrato su tutto questo, il risultato appare poco organico. Angosciante e claustrofobico come nelle intenzioni, ma di maniera.

C'è tanta roba nell'ultima pellicola di Fincher ed è apprezzabile l'impegno profuso sia nella realizzazzione che sulle tematiche discusse. Ma dispiace ammettere che la resa di tutto questo appare modesta e a volte noiosa: perfino i colpi di scena alla fine non ridestano più. Penalizzato anche da un Ben Affleck cristallizzato. Less is more e, di converso, more is less.

Contro la melassa e lo zucchero a velo dei buoni sentimenti dei cinepanettoni, Storie pazzesche è sicuramente un cura straordinaria: sia nella sceneggiatura che nella regia. Humor nero e grottesco perfettamente bilanciati e stabile tensione narrativa. Centrato l'obbiettivo: divertire con originalità, ma senza moralismo o buonismo. Tempismo perfetto sotto le feste.

Nolan si cimenta con la fantascienza [passaggio obbligato nella sua storia naturale] e ci porta in un viaggio pluridimensionale dove è possibile superare la barriera spazio-temporale per raggiungere luoghi intergalattici dove far rinascere la vita. Scelte visive piacevoli, cast azzeccato e ben diretto, e alcune trovate interessanti: la resa del tempo come quarta dimensione attraverso le lancette dell'orologio, l'essenza malvagia dell'uomo-essere vivente Vs quella benevola della natura e dell'umanità. Ma il corto circuito che il regista scatena è imperdonabile: creare una teoria fantascientifica con delle basi illogiche e con troppi scivoloni concettuali, ancor più stridenti perché accostati a passaggi tecnici affascinanti, vuol dire creare un Fantasy con regole interne arbitrarie e non condivise con lo spettatore. Rimane solo la spettacolarizzazione come risultato di una disconnessione delle tematiche. E' un'esca ammaliante, si può abboccare, ma nascosto c'è l'amo: basta saperlo.

David O.Russell arriva alla sua ultima pellicola con il supporto holliwoodiano che investe molto sul suo delfino e lo premia con tante candidature agli Oscar. American Hustle è sicuramente una pellicola concepita con tutte le caratteristiche per concorrere alla sfida degli oscar: soggetto, cast (da elogiare la prova della Lawrence), intreccio, ironia (ammiccamenti a lobby molto influenti: la stella di Davide del protagonista; o a etnie fondanti il sistema di corruzione, vedi mafia americana; o al Sogno Americano, vedi la scalata sociale del figlio di un vetraio), richiami ai grandi modelli, solida ma allo stesso tempo prevedibile colonna sonora (tranne White Rabbit in arabo). Il risultato è sicuramente gradevole, ma poco godibile: mai veramente graffiante e incisivo, poca maturazione (durata del film sproporzionata rispetto ai contenuti stilistici e narrativi), incongruenze nella sceneggiatura, "caos" incontrollato. Penalizzato anche dal doppiaggio soprattutto nella prima mezz'ora.

Finalmente un film moderno. Confrontando, a posteriori, il taglio che il regista ha creato per il suo primo film con la decina di trailer prima della proiezione, non posso che elogiarlo. E' una pellicola attualissima che affronta il problema dei rischi della rete e del distacco dalla realtà (si potrebbe dire "I'm on, ergo sum") attraverso l'intreccio di tre storie ben bilanciate e molto verosimili e, pertanto, che porta lo spettatore ad interrogarsi sul proprio rapporto con internet. Appare, a mio avviso, irrilevante se le convinzioni del regista siano esagerate o se il finale possa apparire come una scelta di comodo per tutte e tre le storie. Il grande merito sta soprattutto nella resa estetica: assolutamente in linea con l'argomento trattato. Interessante, in questo senso, la fotografia con alcune scelte notevoli: la onnipresenza del riflesso del monitor nella pupilla dei "connessi" (l'impulso elettronico che sostituisce quello neuronale). Buona visione.

Favola sulla solitudine di tante vite dimenticate dalla società. Ottima la regia che trascina il pubblico ad affezionarsi al protagonista, minuto dopo minuto. L'interpretazione di Marsan è magistrale, con una gestualità rituale impressionante.

La perdita dell'ispirazione dell'artista, il rapporto simbiotico con i suoi personaggi, la necessità di andare avanti come unica soluzione. "Non ho niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso". Capolavoro.

Futile ridondanza furbescamente confezionata.

Finalmente ritrovo il W. Allen che apprezzo. Uscito soddisfatto dalla sala per un film che può, con orgoglio, definirsi film. Avere la percezione che ci sia stato tempo, impegno e ritrovato slancio creativo per la creazione della pellicola (soggetto, sceneggiatura, montaggio, interpretazione), non è poca cosa di questi tempi. Film per tutti e che parla a tutti: sulla differenza tra ciò che che si desidera e ciò che la società ci porta a desiderare. Grazie di questo regalo Woody. Buona visone.

Il film trova in una soluzione intellettuale illuminata, seppur utopica e favolistica, la chiave di lettura e la possibile bussola da (in)seguire per superare quella connaturata attitudine masochista dei partiti (più che dell'elettorato) della sinistra italiana, oramai troppo seriosa nella sua mediocrità. E' questo il merito della pellicola, corroborato dal cast di attori bravi e credibili (oltre Servillo, che ho apprezzato soprattutto nel ruolo del professore, soprattutto Mastandrea ha impersonato un ruolo difficile, perché personaggio tutto da realizzare senza caratteristiche predefinite). Meno convincente appare la resa estetica e la regia.

"Perché ci innamoriamo delle persone sbagliate?" "Perché ci accontentiamo dell'amore che pensiamo di meritare".
Film di formazione, che racconta le difficoltà adolescenziali di sentirsi accettati e compresi di tre protagonisti che, ognuno a suo modo, parte svantaggiato rispetto ai coetanei. Niente di nuovo (anche "Heroes" di Bowie, oramai abusata nel cinema) e, se vogliamo, poco attuale (il film è del 2012, ma la storia è ambientata agli inizi anni '90: la musica scorre ancora su cassetta e non vi è traccia di internet o cellulari), ma il regista, anche autore del romanzo, è bravo a dosare sapientemente tutti gli ingredienti (amicizia, amore, rapporti genitori-figli, scuola) rendendo tutto godibile e a suo modo originale. Simbolica la scena del passaggio nella galleria come accettazione dell'identità e superamento delle proprie insicurezze: il momento in cui non ci si sente più "wallflower", un adolescente tappezzeria.

Ogni personaggio non è ciò che sembra...come nella vita vera. Almodovar gira un film impeccabile e a suo modo perfetto, asciugandolo da iperbolismi e funambolici intrecci che l'hanno reso inconfondibile. Forse per questo motivo è rimasto in ombra rispetto alle altre pellicole. Straordinarie capacità visive; da questo punto di vista sicuramente nel podio della sua filmografia.