Non un brutto film, ma una conclusione deludente dopo i primi due film, molto buoni. Una prima metà sprecata a salvare un singolo personaggio, il tutto mentre si prepara la battaglia finale contro l'Impero, con un piano d'azione abbastanza improvvisato, e una seconda metà condannata dalla presenza degli Ewoks, un elemento di comicità fuori posto che toglie spazio alla battaglia spaziale, peraltro abbastanza statica, anche se l'ordine di non attaccare viene giustificato narrativamente.
Fortunatamente invece il confronto tra Luke, Fener e l'Imperatore è di tutt'altro livello, ed è stato in grado di salvare il film, dando una degna e toccante conclusione a questa saga. Consigliato, ma solo perché è necessario per completezza dopo gli altri due film, che gli sono superiori in tutto. Del tutto evitabili invece i prequel, perché Lucas che ritorna alla regia dopo oltre 20 anni non è più quel regista sognatore di Guerre Stellari del 1977.

Il più cupo della trilogia classica di Guerre Stellari. L'Impero mostra il potere della sua flotta, , l'Imperatore si rivela a Dart Fener, il quale poi affronterà Luke in uno scontro molto più epico di quello visto con Obi-Wan nel primo capitolo, culminante con una rivelazione ormai storica.
Bellissima anche l'atmosfera più avventurosa e di esplorazione de "L'Impero colpisce ancora", che dopo la battaglia iniziale con i camminatori imperiali è quasi tutto ambientato nello spazio, con un Millennium Falcon incapace di effettuare l'ipersalto e braccato dalla flotta imperiale. Indimenticabile anche la prima comparsa di Yoda, con il seguente addestramento di Luke, e il ritorno di una vecchia conoscenza.
Tantissimi i ricordi per questo film, amato fin da bambino e che lascia un po' malinconici sulla conclusione, con una situazione quasi disperata in cui tutto sembra perduto, con solo una flebile speranza affidata all'ultimo capitolo.
È il migliore della saga, anche senza Lucas alla regia.

Film di culto e l'inizio del fenomeno "Star Wars", non solo cinematografico. Nessuno avrebbe scommesso sulla riuscita del film, non c'era nulla al cinema a cui confrontarlo: un universo fantascientifico con mezzi futuristici, ma in un passato del tutto fantastico e senza alcuna pretesa di realismo, pregno di una forza mistica, padroneggiata dai Jedi.
L'alchimia è riuscita a George Lucas, e nel rielaborare i più classici cliché di principesse da salvare e contadini diventati eroi, regala icone indimenticabili: il malvagio Dart Fener, il contrabbandiere Ian Solo e il compagno Chewbecca, i due simpaticissimi droidi, il maestro Obi-Wan, e una principessa Leila combattiva e molto determinata.
Molte le sequenze che lasciarono stupiti per quello che era possibile rappresentare al cinema, a cominciare dall'arrivo al bar spaziale. Tra i difetti una trama troppo lineare e un protagonista insulso rispetto agli altri personaggi, riscattati dalla battaglia finale con la Morte Nera, spettacolare.

Nonostante sia sempre stato un tema molto battuto, sia in campo letterario che cinematografico, a distanza di vent'anni questo è ancora il film più convicente sui viaggi temporali e i paradossi che comportano.
Un imperdibile adattamento del mediometraggio francese "La Jetée", anch'esso consigliato e da riscoprire nella sua natura più sperimentale, ma qui consegnato finalmente al mondo del cinema dal visionario Terry Gilliam, in uno dei momenti migliori della sua traballante carriera, che ci regala anche la beffa finale, una sua firma dopo la conclusione drammatica a sorpresa ereditata dal mediometraggio, che rende l'epilogo grottesco ancora più nero.

Imprevedibile fino alla conclusione, è un altro film di culto degli anni '90 da parte di un regista abbastanza incostante. È uno di quei film che si poggiano interamente sul colpo di scena e la preparazione allo stesso, ma proprio per la sua arbitrarietà, successive visioni non riescono ad arricchire ulteriormente. Confesso che mi è difficile valutarlo: se lo consiglio senz'altro ed è un film da vedere almeno una volta, perché è qualcosa di sicuramente notevole, grazie anche al materiale di partenza, e ricordo che lo amai quando uscì la prima volta; non c'è da aspettarsi troppo a distanza di tempo.

Un buon noir con una trama incentrata sulla realizzazione da parte di un serial killer di sette omicidi: una macabra opera, di cui si considera l'artista, sul tema dei sette peccati capitali. I due protagonisti, uno appena arrivato e uno in attesa della pensione interpretati da Brad Pritt e Morgan Freeman, sono incaricati delle indagini per fermarlo, in base agli indizi che lui lascia nella stanza di ogni vittima per condurre a quella successiva e svelare particolari sul proprio conto.
Indubbiamente coinvolgente, ha un finale a sorpresa del tutto spiazzante, che ne ha segnato senz'altro il successo e ne giustifica pienamente la visione. Aldilà dell'effetto del momento però, non tutto si incastra come dovrebbe.

Altro meritato successo dei fratelli Coen, con un ritorno ai film degli esordi, prima del periodo delle commedie inaugurato da "Il grande Lebowski", non altrettanto riuscite.
L'interpretazione magistrale di Bardem sorregge tutte le sequenze del killer dalla calma glaciale, ma folle, quasi grottesco e di una malvagità incomprensibile, che lascerà dietro di sé una continua scia di sangue, sulle tracce del denaro che il protagonista ha sottratto. Ci sarà un unico confronto diretto tra i due con la fuga all'aperto, che corrisponde alla parte più adrenalinica del film. Tuttavia quasi mai la violenza è mostrata dopo la scena iniziale, se ne vedono o se ne intuiscono soltanto gli effetti, con una sorpresa che si tramuta in rassegnazione di fronte a un'entità inarrestabile, che solo il finale sembra riconsegnare a una dimensione più umana.

È diventato un cult per gli appassionati, e rimasto saldamente il miglior esempio di tutti i film realizzati sul concetto di realtà come percezione soggettiva per oltre un decennio di tentavi di emulazione, ma con molte scelte discutibili. Matrix fortunatamente è conclusivo e non necessita dei due seguiti, che sono soltanto un pasticcio malriuscito che confonde solo le acque, senza aggiungere nulla di notevole. E purtroppo a oggi è anche l'unico film meritevole di fratello e sorella Wachowski.
Resta il rimpianto per le potenzialità annacquate in sequenze di combattimento e arti marziali, che prendono presto il sopravvento sui possibili spunti del film. E anche la trasformazione degli umani in batterie, in un colpo di scena affascinante cinematograficamente, è insensata quanto il moto perpetuo, quando delle motivazioni filosofiche o di curiosità da parte delle macchine verso i loro creatori sarebbero state più realistiche e interessanti. Visivamente ottimo e suggestivo, è consigliato.

Ottimo film e tra i migliori di Christopher Nolan, che lo ha reso subito celebre assieme al fratello sceneggiatore, grazie a una trama perfetta in cui ogni tassello si incastra senza forzature a quelli disposti in precedenza, a partire dalla conclusione e proseguendo all'indietro. Mai un thriller aveva messo in discussione con così tanta forza il concetto di realtà in relazione ai ricordi e alla loro manipolazione, impadronendosi di tematiche sviluppate solitamente in altri generi per superarli senza mai intaccare il coinvolgimento e vivendo ogni sequenza nei panni del protagonista, condannato a un eterno presente perché incapace di memorizzare nuovi ricordi in seguito a un trauma. Che cosa siamo senza i nostri ricordi, che cos'è la realtà e in che misura ha davvero importanza?
Geniale per finire l'uso dei tatuaggi e delle annotazioni sulle foto stampate da una Polaroid come sostituti della memoria a lungo termine.

Continui colpi di scena, che preparano all'atto finale: il prestigio che dà senso alla pellicola ed entusiasma lo spettatore. Nolan è indubbiamente un grande prestigiatore, che conosce e sa gestire tutti i trucchi del mestiere, confezionando ancora una volta un prodotto di buon livello, e spiegando ciò che ne permette il successo attraverso l'analogia, ma non è il suo numero più riuscito.

Un grande horror di Kubrick, l'unico che ha diretto ma ancora uno dei più importanti. Da paura Jack Nicholson, in una delle sue più famose interpretazioni, e splendida la conclusione nel labirinto innevato. E ottima la scelta di far crescere la tensione nella famiglia, in cui l'hotel si limita a innescare qualcosa di pregresso e già percepibile nel padre. Consigliata la versione integrale.

Ottimo film di guerra, con una prima metà eccezionale sulla fase di addestramento, e una seconda metà pungente e altrettanto critica sull'uso di quei soldati in Vietnam, ma che non riesce a eguagliarne il climax. Quasi due film in uno, entrambi drammatici ma con stili molto diversi, uniti solo dall'avere lo stesso protagonista, in un ruolo prima di testimone e poi di artefice del colpo di scena. Un film reso imperfetto solo dalla divisione netta tra le due metà.

Ultimo film di un grande regista. Ancora indimenticabile la scena in costume nella setta e, benché sia apprezzabile in ogni sua parte, sconta il difetto di non essere all'altezza di quello a cui Stanley Kubrick ci aveva abituato.