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Vede nel cinema principalmente espressione artistica o un veicolo per trasmettere idee? |
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Propendo per la prima ipotesi: innanzi tutto dev’essere spettacolo; poi, volendo, v’è tutto lo spazio per la riflessione. L’importante è non prevaricare mai, mai pretendere che il pubblico subisca ‘la verità’. |
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Qual è il significato delle citazioni colte nei suoi film? |
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Non si può pensare ad un film western senza far riferimento ai classici: basilare è la tragedia greca, ma anche Shakespeare. D’altronde, ho sempre sostenuto che il più grande scrittore di western sia stato Omero: i suoi personaggi sono gli archetipi degli eroi del West. Ma forse è meglio dire il contrario: i personaggi del West ricalcano gli eroi omerici. Il personaggio di Clint Eastwood, particolarmente in Per un pugno di dollari, proviene direttamente da Plauto e Terenzio. |
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Come scelse Eastwood per quella parte? |
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La verità? Più che di un attore, avevo bisogno di una maschera, e Eastwood, a quel tempo, aveva due sole espressioni: con il cappello e senza cappello. |
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Qual è il segreto del successo dei suoi western? |
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Probabilmente l’impatto che hanno avuto, sul pubblico, molti elementi innovativi, ad iniziare dalla violenza; intendiamoci, non una violenza fine a se stessa, ma finalizzata a rappresentare l’evidenza della morte, il suo realismo: vedere il sangue, sentire distintamente lo sparo, le urla, fa capire cosa vuol dire sparare ad un altro uomo. Tutto questo, però, è giusto che scompaia di fronte ad una guerra: per questo la storia de Il buono, il brutto, il cattivo ha sullo sfondo la guerra di Secessione. Sul piano strutturale credo che una grossa novità, per il genere western, sia stata l’utilizzo del flashback, che innalza il tempo al ruolo di protagonista. |
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Con il successo cos’è cambiato, nel suo lavoro? |
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Ho avuto molto più facilmente carta bianca su tutto, o quasi; i problemi sono nati quando, dopo la fine della trilogia del dollaro, avrei voluto fare subito C’era una volta in America: i produttori hanno preferito fare un altro western, spaventati dal costo elevato. Così, mi sono ritrovato ad aspettare 17 anni prima di riuscire a girarlo. |
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Altre vicissitudini produttive? |
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All’inizio, molte con Per un pugno di dollari. Addirittura, mi hanno chiesto di aspettare che si liberassero Tognazzi e Vianello per girarlo con loro: forse pensavano che volessi fare una parodia… I film successivi li ho prodotti io stesso, quindi senza alcun problema. |
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Qual è il suo western preferito? |
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L’uomo che uccise Liberty Valance, senz’alcun dubbio. Per la prima volta, Ford ha mostrato la vera faccia del West; ha abbandonato la sua tradizionale visione ottimistica in nome di un più realistico pessimismo. |
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Qual è il suo rapporto con John Ford? |
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Lo ammiro sconfinatamente, altrimenti non mi sarei mai cimentato nel suo genere. Abbiamo una visione diversa del West, la sua è più romantica, ma pur sempre realistica. Qualche errore, però, lo ha commesso anche lui: Un uomo tranquillo, ad esempio, è un film sbagliato nel momento sbagliato. |
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E quello con Ennio Morricone? |
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Ennio non è solo un musicista: è il miglior sceneggiatore dei miei film. Sul set giro con la sua musica, e questo aiuta gli attori ad entrare nell’atmosfera del film, a capire meglio i propri personaggi: ogni tema rappresenta perfettamente le caratteristiche d’un personaggio, il suo spirito. Che sia un sistema vantaggioso, per girare, lo conferma il fatto che anche Kubrick, dopo aver parlato con me, lo abbia adottato; ma non è la musica in generale, a permetterlo: è la musica di Ennio. |
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Ford a parte, chi è il suo punto di riferimento? |
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Ritengo Chaplin il massimo genio dell’arte cinematografica: senza di lui in molti, non solo io, farebbero oggi un altro mestiere. |
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Veniamo a C’era una volta in America: è il suo film che più ama: |
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Non posso non amarlo: è la summa di tutta la mia carriera, e dal punto di vista dei contenuti e, soprattutto, da quello dello stile. Quanto al primo ho ricostruito l’America che ho sognato per anni, l’America mito e, al tempo stesso, contraddizione. Stilisticamente, è una riflessione sullo spettacolo, sull’arte visiva. |
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America mito e contraddizione? |
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L’America è il paese delle contraddizioni per eccellenza, ingenuo e grandioso: è Disneyland. |
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