Non è mai troppo…
… tardi, per una seconda possibilità. E nemmeno per un ennesimo film strappalacrime, almeno nell’intento, melenso e poco originale. “Nights in Rodanthe” è il quarto romanzo di Nicholas Sparks a diventare un film, dopo “Le parole che non ti ho detto”, “I passi dell’amore” e “Le pagine della nostra vita”; Sparks è indubbiamente uno scrittore di successo, e forse i suoi romanzi si adattano bene al cinema proprio per la facilità con la quale si riesce a leggerli. Nella trasposizione di Goerge C. Wolfe, al debutto come regista per il grande schermo, del testo originale viene cambiato il meno possibile: più o meno tutta la storia esiste soltanto in virtù della felice ambientazione, una costruzione che è un inno all’abusivismo edilizio a pochi metri dall’oceano a Rodanthe, North Carolina.
L’antefatto ci mostra soltanto la situazione di Adrienne (Diane Lane), lasciando il personaggio di Paul (Richard Gere, a ricomporre la coppia di “Cotton Club” e “Unfaithful – L’amore infedele”) avvolto nel mistero di una solitudine non spiegata, e incanalando il punto di vista dello spettatore, al momento dell’incontro, in quello della donna. L’amore tra due ultracinquantenni, pur non essendo una novità, è comunque un sentiero relativamente poco battuto; in questo percorso non si riesce a registrare nessuna particolare deviazione, nessun punto di vista nuovo: c’è soltanto l’avvicinamento (fin troppo rapido) tra due persone scottate dalla vita, che capiscono che non è tutto finito ma c’è sempre tempo per ricominciare nell’attività più importante e più trascurata, inseguire i propri desideri, cercare se stessi.
Al di là del paesaggio nulla emoziona, se non per un attimo lo sguardo di un comprimario, Scott Glenn; la tragedia che incombe sulla storia d’amore non è solo una sensazione, ma se la parte centrale del secondo tempo – quella della separazione tra i due – è ben orchestrata, il finale rappresenta un passo indietro, dilungandosi incredibilmente alla ricerca, forse, di una serenità solo apparente. |