Che “La verità è che non gli piaci abbastanza” sia tratto da un bestseller la cui autrice, Liz Tuccillo (insieme a Greg Behrendt), aveva già firmato “Sex and the City”, è un fattore rilevante esclusivamente sotto l’aspetto commerciale; che questo fattore sia ampiamente sbandierato è sintomatico delle intenzioni di produttori e distributori, quanto allo spettatore vale l’avvertimento: uomo avvisato, mezzo salvato.
Come ogni film tratto da un bestseller americano la sua caratteristica principale è la semplicità: tesi, antitesi, sintesi. Peccato che la sintesi sia prevedibile, così come il procedimento per raggiungerla. Il concetto – se concetto si può chiamare – è uno solo, dietro un comportamento sgradito non c’è nulla. Se una persona non ti chiama, non ti corteggia, non si dimostra interessata semplicemente non vuole farlo, non è interessato a te. Un concetto degno di una puntata di “Sex and the City” viene moltiplicato, presentandone quelle che ad esser buoni possiamo chiamare sfumature (a esser cattivi ripetizioni), prima dell’inevitabile conclusione: la presa di coscienza, da parte dei protagonisti, dell’amara verità. Ma se tutti, bene o male, alla fine se ne rendono conto... di cosa stiamo parlando?
Aspetto positivo del film di Ken Kwapis è il ritmo, che si mantiene per le due ore di durata sorretto da dialoghi sorprendentemente brillanti – non tutti, naturalmente; il cast garantirà al botteghino quel che non ha garantito sul set, quantità invece di qualità, tanto che Ben Affleck risulta una spanna abbondante sopra tutti gli altri. Piacevole il volto della protagonista (non sono tutti e nove alla pari) Ginnifer Goodwin, premiata con un lieto fine; anche su questo ci sarebbe da dire, dei molti intrecci i due che coinvolgono i personaggi positivi si concludono con la smentita del titolo, presentandoci ben due eccezioni su meno di dieci casi. La verità è che si vede piacevolmente, ma non convince abbastanza. |