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Trasposizione cinematografica di uno degli eroi dei fumetti della Marvel Comics. Il motociclista Johnny Blaze rinuncia alla sua anima per diventare un giustiziere su due ruote e combattere il crudele e avido Blackheart, figlio dello stesso demonio. |
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Ancora una volta le major si affidano all’inesauribile serbatoio di idee del fumetto americano per sfruttarne commercialmente tutto il possibile, dalla popolarità già acquisita all’universo simbolico, al suggestivo immaginario visivo e al respiro di saga. Nello specifico “Ghost Rider”, fumetto della Marvel Comics nato ad inizio anni settanta dalle penne degli autori Roy Thomas e Gary Friedrich e del disegnatore Mike Ploog, racconta di un giovane motociclista, Jhonny Blaze, che vende letteralmente l’anima al diavolo per salvare la vita al padre, ma in cambio è costretto suo malgrado a trasformarsi in un vendicatore notturno al servizio delle forze del male. Il film vuole essere accessibile anche a chi non sa nulla dell’originale (in Italia molti) e cerca perciò di riassumere tutto quel che occorre sapere in sole due ore: il risultato è però, come prevedibile, un disastro. L’impresa sopravanza le possibilità oggettive del mezzo e il regista nonché sceneggiatore Mark Steven Johnson appiccica come può una sequenza all’altra, tra tagli spaventosi e un numero fastidiosamente alto di jump-cuts per dire il più possibile nel minor tempo; più che di un racconto, lo stile è quello di un riassunto, che andrebbe bene per un trailer ma è inaccettabile per un film compiuto. Non c’è spazio per l’evoluzione della trama, schiacciata dai tempi stretti: conseguentemente, non c’è modo né di far crescere la tensione, né di avvincere lo spettatore, né di disegnare l’evoluzione del protagonista, sballottato qua e là senza troppo pensarci. Si veda, per contrasto, l’abilità di Raimi o di Burton nel cimentarsi con prodotti analoghi: lì il talento emerge nel saper riempire tutte le immagini e i dialoghi di senso, conferendo a ogni fotogramma un peso specifico largamente superiore a quello che Johnson sa esprimere, a partire dagli stessi strumenti.
In “Ghost Rider” purtroppo non funziona nemmeno la sceneggiatura, più che prevedibile e inutilmente declamatoria come è nello stile dei film del genere; e Cage, ormai onnipresente sugli schermi, fa un’evidente fatica a pronunciare serio battute come “ritorcerò la tua stessa maledizione contro di te” o “non si può vivere nella paura”. L’unica cosa affascinante sono le aride e vaste terre del West, che sono però anche l’unica cosa della quale non si deve dar merito a nessuno. |
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