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Gabriel Noone è un romanziere di successo che presenta da anni un programma radiofonico notturno. La sua vita e la sua carriera sono in crisi; il suo partner da otto anni, molto più giovane di lui e sieropositivo, Jess, se ne è appena andato da casa e Gabriel soffre della sindrome del blocco dello scrittore. Il suo amico Ashe, un curatore di romanzi, gli consegna un manoscritto intitolato The Blacking Factory. Il libro di memorie, scritto dal quattordicenne Pete Logand racconta nei dettagli gli orrori dell’infanzia del giovane e include anche le cronache delle regolari molestie subite dai genitori e dai loro amici. |
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“Una voce nella notte” si apre con toni pacati e “notturnamente” cupi, ma ci porta repentinamente a conoscenza del travagliato momento che sta attraversando il protagonista Gabriel Noone (interpretato da un Robin Williams che, dopo la svolta di “One hour photo”, sembra aver scoperto una nuova e meritevole vena drammatica). Oltre a essere un attempato scrittore in crisi creativa – e le due cose sembrano andare sempre di pari passo nei film – egli conduce una trasmissione radiofonica notturna di successo, che però subisce inevitabilmente il momento di personale difficoltà, in particolar modo la crisi con il giovane compagno omosessuale Jess. Gabriel sembra avere bisogno di storie, da vivere e da poter raccontare. Casualmente, si imbatte, grazie al suo amico editore, nel manoscritto autobiografico e straziante di Pete (Rory Culkin, fratello del più noto Macaulay), un ragazzo sedicenne dall’infanzia a dir poco traumatica e oltretutto malato di AIDS. La cosa lo prende al punto da voler intraprendere con lui e la madre (l’inquietante Toni Collette) un rapporto telefonico piuttosto assiduo. Fin qui nulla di strano (o quasi), ma, come ogni buon thriller (ma siamo sicuri che lo sia?), le cose non sono mai come sembrano. Non appena egli decide di far loro visita, problemi, misteri e dubbi cominciano a insinuarsi nella sua mente e a minare ancora di più la sua vita e i rapporti con le persone che lo circondano...
“Ascolta la verità” recita lo slogan impresso sulla locandina. E’, dunque, abbastanza inevitabile che, alla fine della proiezione, lo spettatore si chieda che cosa ci sia da ascoltare in questo fastidioso “Una voce nella notte”. “E’ un thriller del cuore”, dice Patrick Stettner, al suo terzo film da regista. Eppure si fatica davvero non poco a comprendere che tipo di film sia e che tipo di rapporto voglia e possa stabilire con il pubblico. Stranamente, infatti, è proprio l’eccessivo clima di ambiguità il punto debole e irritante della vicenda. Tutto è tirato per le lunghe, anzi lunghissime, in modo piuttosto arrangiato e inspiegabilmente poco accurato. I personaggi sembrano tratteggiati senza possibilità di mezzi toni e soprattutto senza poterne subire veramente il fascino. L’incastro tra realtà e inganno, tema portante e snodo centrale del film, non convince né per lo spessore né per la gestione di sceneggiatura e montaggio. L'unico elemento interessante – e siamo sicuri che derivi dal romanzo di Armistead Maupin al quale è direttamente ispirato – è il capitolo sull'influenza dell'amore (nel suo senso più ampio) nelle percezioni del reale. Ma la suspence è decisamente troppo tiepida e il climax emotivo che dovrebbe precedere la “rivelazione” finale è talmente fiacco e isolato da tutto il contesto che non è poi così assurdo chiedersi, in fondo, che cosa ce ne importi a noi di tutto quello a cui stiamo assistendo. |