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Recensione: Chiamata senza risposta

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Chiamata senza risposta
titolo originale One Missed Call
nazione U.S.A. / Giappone
anno 2007
regia Eric Valette
genere Thriller
durata 87 min.
distribuzione Warner Bros
cast E. Burns (Jack Andrews) • S. Sossamon (Beth Raymond) • A. Skye (Leann Cole) • A. Talancón (Taylor Anthony)
sceneggiatura A. Klavan
musiche R. HeilJ. Klimek
fotografia G. MacPherson
montaggio S. Mirkovich
uscita nelle sale 4 Giugno 2008
media voti redazione
Chiamata senza risposta Trama del film
Beth Raymond è stata testimone della raccapricciante morte di due amici in pochi giorni. Ma la cosa più sconvolgente è che lei sa che tutti e due avevano ricevuto agghiaccianti messaggi in cui sentivano le loro urla prima di morire. Le chiamate erano arrivate alcuni giorni prima del momento fatale, ma tutto si era svolto nel modo e nel luogo predetto dalla telefonata. La polizia pensa che Beth sia in preda a un delirio, eccetto il detective Jack Andrews, perché sua sorella è morta in un anomalo incidente che ha strane somiglianze con le morti degli amici di Beth.
Recensione “Chiamata senza risposta”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 4)
Squilli mortali, suonerie terrificanti: divertimenti 'psichedelici' per (i propri) effetti computerizzati. Giustificabili tentazioni? Piuttosto ipnotici rinvii dove si incontrano gli eccessi, le grida e le folgori. Vicenda horror di gusti saturi e sbrigativi; "One Missed Call", il remake: e anche questa volta "non rispondere". Diretto dall’americano Eric Valette, torna la 'morale' che uccide, la morale insensata, quella volontà dichiarata di stampo 'infernale', una specie di circolo vizioso; l’estetica pubblicitaria che confonde e ricalca quella delle fatue ambizioni metafisiche, scolpite nella formattazione ai canoni hollywoodiani. L’estetica 'mostruosa' piegata nuovamente all’esigenza del desiderio presuntuoso di mostrare, di materializzare certi codici melodrammatici; caleidoscopio di riferimenti malefici. Una specie di fuga nella creazione di un'entità, di una 'creatura' destinata certamente a non colmare tutti i vuoti della sua esistenza.
Riferimenti postmoderni di uno sconcertante delirio 'figurativo'. Visioni misteriose di un sogno cinematografico ormai programmato in funzione della pigrizia consumistica degli spettatori. Siamo nel Requiem, nella disperazione dell'eccesso 'morboso': il ritmo esasperatamente convulso costituisce il poco originale tessuto di base sul quale si innesta un uso della camera, dell'illuminazione, del colore, del suono o del montaggio che portano continuamente all'intuizione 'narcisista'.
Lo sguardo è perciò provvidenziale, pericolosamente corrotto, mai 'terrorizzato', giustificato da uno stile che sembra ricondursi invariabilmente ad un ripiegamento su sé stesso, che permette di confinare le immagini nel terreno dello psicodramma 'isterico' più che in quello della 'creazione artistica' al quale il suo cinema horror esplicitamente aspira.
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