“Tu sei carne morta, lo vuoi capire?”
Una storia di amore, di armi e di eroi.
Una storia vera, disperata, dal solito, drammatico epilogo.
Rita Atria ha soli 17 anni quando decide di ribellarsi ad un ordine precostituito, quando sceglie di cercare giustizia e non vendetta: troverà la morte, il destino di tanti eroi che eroi non vollero essere, e che oggi rappresentano la speranza di un cambiamento in cui è difficile credere. La Sicilia dipinta dal siciliano Amenta, ha il tetro fascino di una terra arcaica, abitata da persone sospese nel tempo, la cui vita spesso è solo un “prestito” dei boss del paese; una Sicilia che nella prima parte del film vediamo con gli occhi della piccola Rita, perfettamente intergrata in questo tessuto sociale fino a quando la morte del padre prima, e del fratello poi, non la pongono davanti ad una scelta che nessuna ragazza di 17 anni dovrebbe mai fare. Rita sceglie la Legge, e con essa la clandestinità, la rabbia, la disperazione, la paura. Sceglie di vivere senza un passato, costretta a cambiare identità più volte, rinnegata con odio dalla madre, e senza un futuro, perché anche nell’attesa della tragedia, non libera di vivere la vita come una persona normale: una passeggiata, un serata in discoteca, un amore…
Solitudine e sconforto vengono colmati solo dalla presenza di un maresciallo e dalla figura quasi paterna del magistrato che, diversi anni prima, la accusò di “avere la mafia nel sangue”. Ora però è tutto cambiato, anche la fotografia si fa più sgranata, opaca, Rita davanti allo specchio di una casa anonima nella periferia di Roma capisce di essersi emancipata, di aver vinto la sua personale battaglia in una guerra che però la mafia sembra continuare a vincere.
E quando il giudice Borsellino muore tra ferraglie di macchine accartocciate come lattine, Rita decide con il suo ultimo gesto estremo di uccidere sé stessa, le proprie speranze ma anche quelle dei mafiosi che speravano di dimostrare come le sue accuse fossero dettate semplicemente dalla sete di vendetta e non di giustizia, quella giustizia in nome della quale aveva sacrificato tutto.
Amenta, al suo primo lungometraggio dopo due documentari, "Diario di una siciliana ribelle" e "Il Fantasma di Corleone", costruisce con dignità e sincera passione un film altrettanto sincero e coraggioso: chiama a sé attori non professionisti del luogo e si affida a due ottimi attori per i ruoli da protagonista: il francese Gérard Jugnot e la siciliana Veronica D'Agostino, entrambi molto bravi. Soprattutto, riesce sempre a trasmettere una forte carica emotiva che non sfocia mai in caricatura, neanche in quelle (poche) scene in cui la narrazione sembra leggermente forzata, come la scena dell’incontro tra Rita e il fidanzato storico e, più in generale, la storia soltanto accennata tra Rita e Lorenzo.
Da vedere, perché la libertà passa attraverso la conoscenza, e la forza di film come questo possono molto di più che vacue parole televisive come ‘lotta alla criminalità organizzata’ e via dicendo, magari uscite dalla bocca di politici collusi con la mafia, condannati in via definitiva, e beatamente seduti in Parlamento. |