Metti Julia Roberts e Clive Owen per oltre due ore al centro dell’inquadratura, una regia classica che non si prende rischi inutili e una storia intricata quanto basta per tenere alta l’attenzione dello spettatore; metà film è fatto. Dell’altra metà Tony Gilroy non si cura e, come lui, nessuno della (ricca) produzione.
Non basta inquadrare il posto dove si svolge l’azione dall’alto, ben centrato, per rassicurare lo spettatore circa gli eventi; una cartolina può rimanere impressa nello sguardo, ma se alla fine il film annoia l’insoddisfazione rimane. Tony Gilroy, che come regista ha firmato l’anonimo “Michael Clayton”, è conosciuto per il suo ruolo di sceneggiatore in film quali “L’avvocato del diavolo” o nella trilogia di Jason Bourne; quello che dovrebbe essere il suo cavallo di battaglia si rivela uno dei punti deboli del film, che dura troppo e troppo a lungo insiste su una situazione ormai definita rinviando ogni eventuale colpo di scena al finale. Soltanto alla luce degli ultimi eventi momenti che sembrano ripetitivi acquistano un significato più preciso, ma non è sufficiente (né corretto) limitare il tutto ad un procedimento mentale che lo spettatore compie negli ultimi dieci minuti dopo due ore di attesa. Non è spesa meglio la carta della fiducia all’interno del rapporto d’amore tra Ray e Claire, con uno schema che si ripete sempre uguale ma non abbastanza per diventare un elemento di primo piano nella storia.
Attenendosi alle poche intenzioni del film, i due attori sono gradevoli, si finisce per fare il tifo per loro e, anche senza brillare (meglio di loro si comportano Tom Wilkinson e Paul Giamatti), sono il motivo principale per entrare in sala. Un motivo sufficiente se si intende passare un paio d’ore di relax, fermo restando che la fruizione home video nulla toglie allo spettatore e si propone, in questa circostanza, come più che valida alternativa. |