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Oltre 50 ore di interviste audio e filmate dal giornalista Gideon Bachmann e 9.000 foto che la fotografa Deborah Beer scattò sul set di 'Salò o le 120 giornate di Sodoma'. Attraverso un sorta di "fotoromanzo", con voce calma e potente, Pasolini ci regala una toccante quanto anticipatrice e disillusa analisi della società italiana: il potere, la mutazione antropologica, il dominio "fascista" della logica del consumo, la perdita della libertà e della purezza. Un grido di allarme senza illusioni che sbalordisce lo spettatore per la sua profetica attualità. |
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La speranza è una cosa orrenda inventata dai politici per tener buoni gli iscritti
L’attualità di Pasolini, ma soprattutto la sua vicinanza, in un documentario di un’ora montato sulle oltre 50 registrate. L’operazione di Bertolucci (e di Federica Lang, in un film nel quale il montaggio è più importante della regia), se vuole portare un messaggio, riesce in questo.
Il canale sono le immagini della lavorazione di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, una sorta di backstage ante litteram nel quale Pasolini, partendo dal significato del film, illustra la sua visione del potere nella società contemporanea e del potere in genere. Se le idee pasoliniane sono già note, alcune espressioni colpiscono profondamente: “il potere mercifica i corpi” sintetizza al tempo stesso il suo film e il suo credo, con la scontata conclusione che ci troviamo di fronte ad un film altamente rappresentativo di chi lo ha pensato, scritto e infine girato con una cura ed un’attenzione che non aveva mai avuto prima.
Oltre a rendere immediatamente comprensibile il messaggio di un film fortemente metaforico quale “Salò”, “Pasolini prossimo nostro” fa emergere il suo sguardo disincantato (ma mai cinico) nei confronti di una società in evoluzione, anzi evoluta. Evoluta male. Il passaggio da una società repressiva ad una permissiva si è rivelato una limitazione alla libertà, rendendo obbligatorio ciò che da proibito è diventato permesso. I giovani hanno valori diversi, valori nuovi; un attimo dopo Pasolini corregge il tiro, e parla finalmente di imbecilli con valori piccolo-borghesi alienanti e falsi, imposti dall’alto. Una libertà-costrizione che è sfociata in un “edonismo consumistico”, imposto da un potere intento a celebrare se stesso, un’autocelebrazione del nulla, un potere anarchico.
Pasolini non è mai stato un pensatore comodo, questo documentario non aggiunge nulla alla sua figura nemmeno nelle esagerazioni (“essere vivi o morti è la stessa cosa”), ma dice molto della sua poetica dietro la macchina da presa. È stimolante sentirlo parlare di linguaggio, del modo di esprimere la realtà, di montaggio, di sceneggiature più o meno vincolanti a seconda delle intenzioni, di gestione degli attori (quasi mai professionisti), della scelta dei luoghi dove girare. È affascinante sentirlo parlare di rito, di amore necessario per la comprensione, di libertà dell’artista percepita ma non quantificata. Pasolini, prossimo nostro, dal quale siamo così lontani. |